Non giudicate (gli altri)

Non giudicate
Omelia per lunedì 23 giugno 2025

Quando Gesù dice «Non giudicate» ci chiede di non condannare i nostri fratelli, ma il male che fanno, distinguendo sempre tra peccato e peccatore.

Letture: Gen 12,1-9; Sal 32 (33); Mt 7,1-5

Due anni fa ho commentato la saga di Abramo (che iniziamo a leggere nella Prima Lettura), perciò quest’anno commento il brano di vangelo,1 che ruota attorno all’invito:

«Non giudicate, per non essere giudicati».

Un chiarimento necessario

Vorrei chiarire subito che l’invito di Gesù è riferito al giudizio che ci permettiamo di esprimere sui nostri simili, con sentenze pesanti, esagerate, senza appello; lo si capisce meglio leggendo in parallelo la versione di Luca, che – oltre al «non giudicate» – aggiunge un secondo monito:

«non condannate e non sarete condannati» (cfr Lc 6,37).2

Giudicate, eccome!

Perché ho fatto questo chiarimento? Perché Gesù non ci sta chiedendo di essere indifferenti, o di non immischiarci negli affari altrui (applicando il tipico «vivi e lascia vivere»), o – peggio – di tacere davanti a tremende ingiustizie.

In altri passi del vangelo, infatti, Gesù invita chiaramente a saper giudicare, a fare discernimento tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, tra il bene e il male:

«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade… Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (cfr Lc 12,54-57).

Siamo fratelli, non giudici

Perciò, il monito di Gesù che ascoltiamo oggi punta a ricordarci che non siamo giudici gli uni degli altri, ma fratelli e che – se proprio vogliamo giudicare l’operato di un fratello – dobbiamo prima cominciare ad esaminare noi stessi:

«come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Il giudizio (definitivo), poi, appartiene a Dio; ricordiamo sempre il monito dell’apostolo Paolo e dell’apostolo Giacomo:

chiunque tu sia, o uomo che giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose (cfr Rm 2,1-11).3


Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo? (cfr Gc 4,11s).

La correzione fraterna

Si può giudicare l’operato di un fratello, anzi, a volte si deve, come Gesù insegnerà più avanti, nel capitolo dedicato alla correzione fraterna,4 ma la regola da applicare è sempre il bene di quel fratello, non la propria soddisfazione personale che porta a «togliersi sassolini dalle scarpe» puntando il dito contro tutti, cercando qualcuno che – a nostro giudizio – sia peggio di noi per oscurare i nostri difetti.

Distinguere peccato e peccatore

In ogni caso, come insegnava Papa Giovanni, l’altra regola da applicare sempre, è distinguere il peccato dal peccatore,5 un principio ripreso poi dal Magistero del Vaticano II.6

Magari fosse così…

Ultimo appunto: mi verrebbe da dire a Gesù: magari valesse la regola che se non giudichiamo non saremo giudicati!

Essere persone che non puntano il dito non ci assicura di essere trattati ugualmente con rispetto dagli altri (anzi!), ma questo non ci deve far cadere nell’atteggiamento di conformazione al mondo in cui viviamo, perché noi non siamo del mondo,7 e dobbiamo vivere il vangelo, essendo luce del mondo e sale della terra.8

Per riassumere

Perciò, tornando al chiarimento iniziale, potremmo riassumere così l’insegnamento di Gesù:

«Non giudicate gli altri, ma aiutateli a capire i loro errori; giudicate prima di tutto voi stessi; condannate il male, sempre, e perdonate di cuore i peccatori».

È una regola che dobbiamo seguire anzitutto noi sacerdoti, e non solo durante il sacramento della Confessione.

  1. Tutt’al più commenterò i brani della Genesi tralasciati due anni fa a causa di sovrapposizioni con altre feste o memorie che imponevano Letture proprie.
  2. Anzi, nella sua peculiare attenzione alla misericordia, aggiunge anche: «perdonate e sarete perdonati».
  3. Cfr anche Rm 14,10.
  4. Cfr Mt 18,15-18.
  5. Così si esprimeva Giovanni XXIII al n. 83 dell’Enciclica Pacem in Terris: «Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di errore o di conoscenza inadeguata della verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità».
  6. La Costituzione conciliare Gaudium et Spes, al n.28, ribadiva tale principio nel modo più solenne in assoluto: «Il rispetto e l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose… Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l’amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose (cfr Pacem in terris). Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque (cfr Rm 2,1-11)»
  7. Cfr Gv 15,19.
  8. Cfr Mt 5,13-16.