«Non riesco a perdonare»

Non riesco a perdonare

Occorre chiarire che saper perdonare non significa riuscire a dimenticare i torti subiti: è una virtù che richiede un cammino impegnativo e tanta preghiera.

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Dedico la nona puntata di questa nostra “rubrica” a una delle confidenze che mi sento fare spesso durante la Confessione: «padre, non riesco a perdonare».

Perdonare non è un optional

Per quanto il perdono sia la forma più grande di Amore (e quella che più si avvicina all’Amore di Dio), perdonare non è un optional o un’esclusiva riservata ai più devoti, ma un dovere che riguarda tutti.

Infatti, subito dopo aver insegnato il Padre Nostro, facendo riferimento all’invocazione «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori», Gesù conclude dicendo:

«infatti, se non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (cfr Mt 6,12-15).

Saper perdonare è condizione necessaria per poter chiedere perdono: non vale solo per la morale cristiana, ma è la regola della reciprocità che caratterizza tutti i sentimenti più profondi e sinceri, come l’amore.

Se le cose stanno così, come la mettiamo? Quanti penitenti potrebbero realmente entrare in confessionale a chiedere il perdono delle proprie colpe?

Perdonare non significa dimenticare

Credo che valga la pena di chiarire subito un equivoco frequente che sta sotto a questa situazione: molti penitenti, quando si spiegano, dicono di non riuscire a dimenticare i torti subiti, di provare ancora dolore nel cuore ogni volta che vedono la persona che li ha feriti o quando ripensano all’accaduto.

Ecco l’equivoco: perdonare non vuol dire dimenticare.

Nessuno (eccetto la demenza senile, un trauma cranico o l’Alzheimer) ha il potere di cancellare i nostri ricordi, e non è nemmeno auspicabile farlo.

Dio stesso non fa finta di nulla di fronte al male, anzi: il male e il peccato lo fanno inorridire! (cfr Sir 15,13; Sal 11,5)

Non un nemico, ma un fratello

Perdonare, quindi, non è «far finta di niente», anche perché il male va sempre denunciato, soprattutto quando mette in pericolo il fratello che lo compie; perciò Gesù raccomanda:

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (cfr Mt 18,15-18).

In questa raccomandazione noi percepiamo solo il dovere di protestare per il male subito, ma Gesù ci sta suggerendo già il primo passo per attuare il perdono: chi ti ha fatto del male è (e rimarrà sempre) figlio di Dio, e quindi «tuo fratello».

Anzitutto devi provare a guardarlo non come un avversario, un nemico, ma con gli stessi occhi del Padre Celeste; e poi, devi desiderare che anche lui si renda conto di quello sguardo di misericordia: questo è il significato di «guadagnare il proprio fratello».

Al bando la vendetta

In secondo luogo, se hai capito che anche chi ti ha ferito è figlio di Dio, sarai portato a modificare il tuo comportamento, se non per amore diretto verso il fratello che ti ha offeso, almeno per riguardo al Padre tuo e suo, sapendo che reagendo con rabbia al male ricevuto, Lo faresti soffrire, come soffre ogni madre o padre di questa terra quando vede i propri figli litigare e farsi del male.

Oltre a far soffrire Dio, il rancore e la vendetta sono tarli che erodono il cuore dell’uomo e non portano a nulla.

Per questo, il secondo passo verso il perdono è la nonviolenza, il rinunciare a reagire al male ricevuto con altro male, come insegna l’apostolo Paolo ai Romani:

Non rendete a nessuno male per male… Non fatevi giustizia da voi stessi… Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (cfr Rm 12,17-21).

Per quanto dipende da noi

Un secondo equivoco nelle questioni che richiedono il perdono è quello che nasce dalla situazione frequente in cui la controparte non ne vuole sapere di riaprire un dialogo. Sempre nel brano citato poco fa, Paolo dice:

Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti.

Non è sempre colpa nostra se non si realizza una riappacificazione: come per fare la guerra occorrono almeno due soldati, così – purtroppo – anche per fare la pace: non basta la mia volontà di perdonare.

Saper pazientare

Dobbiamo saper accettare che chi ci ha ferito non sia disposto non solo a chiederci scusa, ma nemmeno al minimo chiarimento o a una “normalizzazione” del rapporto.

Anche la pazienza nel sopportare di cuore la sofferenza nell’attesa che il fratello si apra è un grande passo che ci avvicina a Dio nel cammino del perdono (cfr Lc 13,6-9).

Pregare per i nemici

Un altro “ingrediente” formidabile per crescere nella capacità di perdonare è la preghiera. Gesù non ci ha solo insegnato a pregare per i nostri nemici (cfr Mt 5,43-48), ma l’ha fatto Lui stesso, dalla croce:

«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Nemmeno i crocifissori di Gesù (eccetto il centurione), si pentirono, eppure Lui pregò per loro. Qui Gesù ci ha insegna anche a metterci nei panni dei nemici, trovando per loro delle valide scusanti (il non rendersi conto di averci fatto del male, o il non saperlo ammettere).

La preghiera d’intercessione, oltre a unirci a Dio, ci aiuta a vedere le cose con più sobrietà e oggettività, e ha un effetto salutare anche per la nostra vita interiore perché, invece di coltivare in noi pensieri cattivi, ci aiuta a far crescere dei pensieri buoni.

Alcuni santi li chiamavano “pensieri benedicenti”… possono essere molto semplici, ad esempio: «Signore, benedici questa persona!», oppure «O Dio, aiutami a vedere questa persona come la vedi Tu!».

Se non si può dimenticare…

Dicevo all’inizio che perdonare non significa dimenticare, perché è impossibile e non è nemmeno richiesto, ma se vogliamo arrivare alla perfezione nella virtù del perdono, possiamo fare qualcosa di simile e utile, sia da un punto di vista psicologico che da uno spirituale.

Concentrarci sul bene

Sul piano prettamente umano e psicologico, il mio consiglio è quello di non continuare a tornare con la mente al male ricevuto: è vero che «la lingua batte dove il dente duole», ma – almeno quando non abbiamo davanti l’autore del male inflittoci, o una situazione che ce lo ricordi – dobbiamo fare di tutto per concentrarci sul bene che ci circonda (tanto o poco che sia) e soprattutto su quello che possiamo fare noi, dandoci da fare invece di sprecare la vita a leccarci le ferite.

Bruciare nell’Amore di Dio

Sul piano spirituale, dobbiamo imparare a “bruciare” il nostro “libro nero”: mi riferisco a quella sorta di pesante “registro dei debiti e dei crediti” che conserviamo nel nostro cuore, tenendo traccia di tutto ciò che ci segna. Questo “libro” è la causa di tutti i nostri pregiudizi, della sfiducia e delle riserve interiori che abbiamo verso gli altri e che appesantisce ogni piccola cosa.

Bruciare questo libro è qualcosa che non possiamo fare da soli, con la nostra forza di volontà, ma solo con l’ausilio della grazia di Dio, il grande “braciere” del Suo Amore misericordioso, sperimentandola continuamente su di noi, chiedendo e gustando il Suo perdono.

Occorre, cioè, fare continua memoria (e soprattutto esperienza) di quel fuoco di Amore infinito che brucia ogni volta i nostri peccati e – usciti dalla Confessione – immedesimarci in quel debitore della parabola, condonato di ben diecimila talenti (cfr Mt 18,21-35).

A forza di “scottarci” e “infiammarci” di quell’Amore, prima o poi ci si brucerà tra le mani il taccuino su cui continuiamo ad annotare le offese ricevute dai nostri fratelli.