Non si può tacere! Martirio di san Giovanni Battista

Non tacere

Giovanni Battista (come Gesù), ci insegna che non si può e non si deve mai tacere la verità, scendendo a compromessi e a sotterfugi, a costo della propria vita!

Omelia per martedì 29 agosto 2023

Letture: Ger 1,17-19; Sal 70 (71); Mc 6,17-29

Tempo fa scrivevo alcuni pensieri sulla necessità di saper tacere. Lo facevo in reazione alle troppe chiacchiere inutili del mondo in cui viviamo e alla poca capacità di far silenzio.

Già in quella paginetta, però, terminavo dicendo che, purtroppo, c’è anche la cattiva abitudine di tacere per convenienza quando invece occorrerebbe assolutamente parlare.

Tacere per vivere?

Viviamo nella società del poltically correct, del «vivi e lascia vivere», delle bugie di comodo, del “non detto” per mantenere il “quieto vivere”… non solo negli ambienti pubblici (scuola, lavoro, associazioni, parrocchie…), ma anche nelle nostre famiglie: cerchiamo di essere “accomodanti”, per evitare inutili discussioni e litigi.

Ben inteso: cercare di non essere esasperanti nel discutere aspramente su ogni cosa è certamente un buon consiglio, ma non dobbiamo confondere le cose importanti con le questioni da due soldi.

Per un’idea o una convinzione personale si può anche tacere e rinunciare a dire la propria (e allora si chiama umiltà), ma generalmente in questo non siamo molto bravi… siamo invece diventati degli ottimi “diplomatici” quando si tratta di rinunciare a difendere valori intoccabili pur di non avere noie.

Per “galleggiare” e sopravvivere, siamo disposti a turarci naso, occhi, orecchie e… bocca! Siamo come quelle banderuole che girano a seconda di come tira il vento, uomini per tutte le stagioni, né carne né pesce.

Il cristiano va controcorrente

Da questa “melma” il cristiano deve assolutamente uscire, perché non può barattare la Verità in cambio della propria “tranquillità”.

In ciò abbiamo la strada tracciata da un modello dirompente: Giovanni il Battista, che ha sacrificato la vita pur di non tacere la verità; anche in questo fu degno precursore di Cristo, come in tutti gli aspetti del suo cammino di fede (a tal proposito vi invito a leggere la bella omelia di san Beda il Venerabile).

Gesù fu messo in croce per aver “parlato troppo”, per aver denunciato ipocrisie e malaffari del potere religioso e politico del suo tempo, come ascoltavamo nel vangelo di ieri:

«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare… Guai a voi, guide cieche…» (cfr Mt 23,13-22)

Avrebbe potuto annunciare semplicemente la Buona Novella, senza denunciare l’ipocrisia farisaica, no? Forse l’avrebbero lasciato in pace, tollerandolo semplicemente come l’ennesimo “sognatore” utopico…

Invece no, perché – come disse a Pilato – Lui era venuto «per dare testimonianza alla verità» (cfr Gv 18,37).

Farsi gli affari degli altri?

Che anche Giovanni abbia reso testimonianza alla verità lo conferma Gesù stesso (cfr Gv 5,33); ma il Battista ci era andato giù pesante fin da subito, cominciando immediatamente con i “guai” e le reprimende:

Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”… Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco» (cfr Mt 3,7-12).

E così aveva fatto anche col potere politico, come leggiamo nel vangelo di oggi:

Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere.

Avrebbe potuto tacere, no?

Così non sarebbe finito in carcere e non avrebbe attirato l’odio mortale di Erodìade.

Nel posto giusto

Il racconto evangelico di questa memoria liturgica fa venire la pelle d’oca: non tanto (o solamente) per la violenza delle modalità dell’uccisione di Giovanni, quanto per la futilità dei motivi che sembrano causarla.

Il racconto del martirio del Battista sembra proprio una delle tante dimostrazioni della banalità del male: può un povero innocente morire a causa dei “pruriti” di un re fantoccio come Erode che, mezzo ubriaco, si lascia vincere dalla libidine nel contemplare una ragazzina che fa la danza del ventre?

Evidentemente sì: la storia è piena di questi orrori; ma la morte del Battista non è causata dall’essere nel posto sbagliato al momento sbagliato (nel carcere di un re “molle” e incapace di mettere un argine all’ingiustizia e al ricatto gratuito), altrimenti non sarebbe neppure un martirio.

Giovanni non era lì per caso, anzi: era al posto giusto nel momento giusto. Sapeva benissimo che – a causa delle sue denunce – lo avrebbe atteso una sorte drammatica, ma ha scelto comunque di non tacere.

Martiri di oggi

Dicevo che la storia è piena di esseri banali, che parlano a vanvera e a sproposito e scelgono, invece, di tacere quando bisognerebbe denunciare… grazie al Cielo, però, ci sono ancora tanti “poveri Cristi” e moderni Giovanni Battista che – di fronte al male e all’ingiustizia – scelgono di non tacere.

Non si tace davanti alle ingiustizie, non si sacrificano i valori: non per superbia o orgoglio personale, ma per un comando preciso del Signore, come abbiamo ascoltato nella prima lettura (la vocazione del profeta Geremia).

Bisogna essere profeti per scegliere di non tacere davanti al male, come leggiamo in Isaia:

Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo,
finché non sorga come aurora la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada
(cfr Is 62,1).

Per amore del mio popolo non tacerò: sono le parole che davano il titolo e l’incipit al documento redatto da don Peppe Diana e distribuito nel Natale del 1991 nelle Chiese di Casal di Principe e nelle altre zone della provincia di Caserta.

Non tacere gli costò la vita.

Ora tocca a noi

Lo dico spesso che noi, grazie a Dio, non siamo messi nella condizione di perdere la vita se scegliamo di dare testimonianza alla verità, che nessuno ci viene a tagliare la testa come al Battista, ma qualche sacrificio lo dobbiamo pur fare.

L’alternativa è che, per salvarci la pelle, mettiamo in croce e sacrifichiamo la Verità.

Quello che mi fa soffrire di più, in quanto ministro del Vangelo, è vedere quanta gente si è allontanata dalla Chiesa proprio perché ha perso la sua forza dirompente di denuncia, dato che – per convenienza – da secoli “liscia il pelo” ai potenti.

Per avere la forza di denunciare bisogna essere non ricattabili, persone tutte d’un pezzo, integerrime, che rifuggono ogni sotterfugio, compromesso e ingiustizia in prima persona… ma se, per mantenere i nostri privilegi, ottenere sconti e “scorciatoie” predichiamo bene e razzoliamo male, cosa siamo se non una lampada messa sotto il moggio e sale che ha perso il suo sapore? (cfr Mt 5,13-16)

La Chiesa potrà tornare ad avere questa forza solo quando tornerà ad essere una Chiesa povera per i poveri, a poter dire, come Pietro e Giovanni mentre salivano al tempio:

«Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6)