Non stancarti mai. 29ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Pregare senza stancarsi
Omelia per domenica 16 ottobre 2022

Letture: Es 17,8-13; Sal 120 (121); 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

All’inizio del capitolo 18 del vangelo di Luca troviamo due parabole con le quali Gesù intende ammaestrarci sulla preghiera. La prima (quella della vedova insistente e del giudice iniquo) è il brano che ci è proposto dalla liturgia di oggi.

Attenti a non fraintendere

Anche questa è una di quelle parabole da “prendere con le pinze”, nel senso che dobbiamo stare attenti a non fare trasposizioni facili e letterali, perché – se è vero che la vedova insistente è un modello per la nostra preghiera – non è assolutamente intenzione di Gesù identificare Dio Padre col giudice «che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno».

E anche lo scopo della parabola non sarebbe così chiaro se Luca non l’avesse annotato all’inizio. Letteralmente, il testo è:

«diceva loro una parabola, per (mostrare) che essi dovevano pregare sempre e non stancarsi (mai)».

Si capisce – perciò – che la finalità della preghiera insistente non è certo quello di stancare Dio, ma di esercitare la propria “resistenza” nel pregare e accrescere la propria fede.

Dio – infatti – «non fa aspettare a lungo i suoi eletti», ma «fa loro giustizia prontamente».

Un confronto impari

Al centro del racconto sta la parola “giustizia” (che – infatti – ricorre quattro volte).

La vedova chiede giustizia ad un uomo che dovrebbe esserne il garante, e riesce ad ottenerla solo grazie alla sua insistenza, perché il giudice non è timorato di Dio e non ha riguardo di nessuno.

Gesù fa leva su questo fatto per portare i suoi ascoltatori a un confronto impari: se persino un giudice umano, iniquo e poco avvezzo a lasciarsi commuovere, è capace di fare giustizia a una donna che non ha alcuna rilevanza sociale (tale era la condizione della vedova nella società ebraica), quanto più Dio (che è il giudice giusto per antonomasia) farà giustizia ai Suoi figli!

Cosa vuole dirci Gesù?

Con questo confronto sembra che Gesù voglia farci trarre una conclusione abbastanza ovvia: «carissimi figlioli, se quando pregate non ottenete quel che chiedete non è certo perché Dio non vi ascolta o si faccia desiderare: è solo perché non siete abbastanza costanti nel pregare, ma – anzi – vi stancate subito».

Se siamo onesti dobbiamo ammetterlo: nel chiedere al Signore ciò che ci sta a cuore non siamo costanti e insistenti come quando cerchiamo di perseguire i nostri obbiettivi terreni.

Questa poca insistenza e facilità a stancarci sono – purtroppo – la misura della nostra fede, che è davvero piccola e scarsa. Ecco perché Gesù termina con quella domanda laconica (fatta probabilmente con gli occhi lucidi):

«Tuttavia, il Figlio dell’uomo, venendo, troverà mai la fede sulla terra?»

Ho riportato la traduzione letterale, che è ancora più incisiva di quella che leggiamo sul Lezionario.

Pregare stanca

Anche il brano della prima lettura mette a tema la fatica nel pregare: Mosè si stanca nel tenere alzate le mani al cielo (simbolo della preghiera accorata e insistente), e quando – per la stanchezza – le lascia cadere, Giosuè e l’esercito del popolo di Israele rischiano di soccombere nella battaglia contro i nemici.

Qui l’immagine della battaglia col nemico assume un significato allegorico che i Padri della Chiesa hanno subito associato a quel combattimento spirituale che può essere affrontato solo con la costanza nella preghiera: una lotta lunga e faticosa, nella quale è facile stancarsi.

Ma nella Sacra Scrittura la preghiera è rappresentata non solo come una battaglia col nemico, ma anche come una specie di combattimento con Dio; per esempio nel famoso brano della lotta notturna di Giacobbe con l’uomo misterioso che – alla fine – si scopre essere Dio stesso (cfr Gen 32,23-33):

«Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!»

Anche questo è un confronto impari, e non perché Dio non voglia esaudire le preghiere, ma perché – per riuscire ad entrare nel Suo mistero – la “lotta” deve durare tutta la notte, come faceva Gesù (cfr Lc 6,12).

Diventare resilienti

Per questo la preghiera richiede il suo tempo: come dicevo all’inizio, persistere nel pregare senza stancarsi mai non ha come scopo l’infastidire Dio, ma l’accrescere la nostra fede, ovvero la nostra conoscenza di Lui, il nostro rapporto filiale col Padre celeste.

Pregare senza stancarsi aumenta la nostra “resilienza” spirituale, così da farci trovare pronti davanti ad ogni prova, e abbastanza forti da sostenere i nostri fratelli ed esortarli con la stessa insistenza, come Paolo raccomanda a Timoteo nella seconda lettura che abbiamo ascoltato oggi:

«annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento».

Pregare assieme

Sostenersi e aiutarsi reciprocamente nella preghiera è l’unico modo per non stancarsi, soprattutto nei frangenti della storia più calamitosi, come quello che stiamo vivendo da mesi a livello internazionale.

Aronne e Cur che trovano il modo di aiutare Mosè a tenere le mani alzate fino alla fine della battaglia sono l’immagine del sostegno vicendevole nella preghiera.

Ecco perché Papa Francesco chiede spesso di pregare per lui e anche di pregare tutti insieme come Chiesa!

È l’unico modo per non cedere alla stanchezza spirituale.

…per entrare nel cuore di Dio

Pregare assieme è anche l’unico modo per entrare nel cuore di Dio, e verificare se ciò che gli chiediamo (la pace, ad esempio) è anche il Suo più grande desiderio.

Se non otteniamo ciò che chiediamo nella preghiera non è perché il Signore non ci voglia esaudire, ma perché non lo vogliamo tutti assieme!

Ciascuno di noi vuole qualcosa di diverso.

Quando preghiamo da soli, spesso pensiamo solo a noi stessi, al nostro piccolo “orticello”: la nostra famiglia, i nostri cari… a volte a discapito o nell’indifferenza verso tutti i bisogni più grandi dell’umanità.

Quando preghiamo tutti assieme – invece – stiamo già facendo succedere un miracolo: di desiderare per davvero e tutti quanti, quello che è bene non solo per noi, ma per tutti i figli di Dio.

Ma attenti bene: l’unità nella preghiera non si ottiene semplicemente chiedendo tutti la stessa cosa (che potrebbe essere anche qualcosa di molto terreno), ma chiedendo tutti assieme quello che desidera Dio, proprio come ci ha insegnato Gesù, facendoci dire:

«sia fatta la tua volontà, come in cielo (così) anche in terra» (cfr Mt 6,10).