Obbedire è un atto d’amore a Dio

Obbedire è un atto d'amore
Omelia per mercoledì 30 ottobre 2024

Obbedire non è cedere al dispotismo dei prepotenti, ma ascoltare e mettersi al servizio di tutti, sapendo che così serviamo e amiamo il Signore.

Letture: Ef 6,1-9; Sal 144 (145); Lc 13,22-30

Cominciando a leggere il sesto capitolo della Lettera agli Efesini, siamo ancora nell’ambito della morale domestica che abbiamo iniziato ad ascoltare ieri con le raccomandazioni ai coniugi.

Parola chiave: «obbedire»

La parola chiave del brano di oggi è «obbedite», rivolta anzitutto ai figli e poi agli schiavi.

A nessuno di noi piace obbedire, perché l’obbedienza suona come imposizione e, quindi, come il contrario della libertà.

A servizio di chi si è ascoltato

Ma obbedire è un verbo stupendo: viene dal latino ob-audire, e ha una forte attinenza con l’ascolto; significa mettersi al servizio di chi ci ha parlato, facendo ciò che si è ascoltato:

«Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (cfr Lc 8,21).

Il modo migliore per amare

Per sottolineare l’importanza di questa obbedienza, Paolo richiama ancora una delle Dieci grandi Parole:

«Onora tuo padre e tua madre!»

Ebbene: non c’è modo migliore per onorare qualcuno che ascoltare ogni sua parola e fare ciò che mi dice, con disponibilità e sollecitudine.

Oltretutto, l’apostolo segnala anche che Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa:

«perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra».

La legge del servizio

Infatti, se la convivenza umana e civile sono rette dalla legge dall’ascolto e del servizio reciproco, la pace e la prosperità sono assicurate.

La prova contraria è che la nostra società è quantomai litigiosa e nevrastenica proprio perché non ci si ascolta più, in nessun ambito (né famigliare né civile).

Obbedienza reciproca

Come nel brano di ieri (in cui la sottomissione era raccomandata in modo reciproco), l’obbedienza e l’ascolto non sono raccomandati in senso univoco ma “bidirezionale”:

E voi, padri, non esasperate i vostri figli.

Pur potendo vantare una potestà, i padri sono invitati a crescere i loro figli nella disciplina, ma con amore e rispetto, senza dispotismi.

Perfino nella schiavitù

La stessa regola vale per un altro istituto sociale che allora era ammesso e che per noi è difficile da accettare: la schiavitù.

Servizio al Signore

Qui l’apostolo è rivoluzionario, perché – non giustificando assolutamente la schiavitù in se stessa – la indica come una possibilità di servizio a Dio:

obbedite ai vostri padroni terreni… come a Cristo, non servendo per farvi vedere… ma come servi di Cristo, facendo di cuore la volontà di Dio… come chi serve il Signore e non gli uomini.

Ai nostri giorni…

Grazie al cielo, nella nostra società la schiavitù è superata, però si presentano spesso situazioni che gli assomigliano, soprattutto in ambito lavorativo (mi riferiscono alle sperequazioni sociali, ai trattamenti salariali iniqui e, ancor peggio, ai fenomeni come il mobbing).

Anche in questi casi – lungi dal giustificare le iniquità in ambito lavorativo (anzi, invitando tutti a reclamare i loro diritti) – l’invito è quello di provare a vivere l’obbedienza (anche verso un superiore ingiusto) come servizio al Signore e non agli uomini: è una via di santificazione.

Ce n’è per tutti

Anche in questo ambito, Paolo fa valere la sua autorità apostolica per richiamare parimenti i padroni, ricordando loro che l’unico Signore è il Dio dei cieli, e che in Lui non vi è preferenza di persone.

Questo dovremmo ricordarlo tutti, piccola o grande che sia l’autorità che ci è conferita, soprattutto noi ministri della Chiesa.