Pace a questa casa! 14ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Omelia per domenica 6 luglio 2025
Non si può parlare di vangelo, non si può dare alcuna «buona notizia», se non nella pace: essa è il “veicolo” attraverso il quale l’annuncio può muoversi.
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Letture: Is 66,10-14; Sal 65 (66); Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20
Dopo le solennità della Santissima Trinità, del Corpus Domini e dei santi apostoli Pietro e Paolo, rientriamo finalmente nelle domeniche del Tempo Ordinario.
Tutti missionari
E rientriamo nel quotidiano con un tema che, purtroppo, noi cristiani del Vecchio Continente consideriamo straordinario e, invece, non lo è affatto: la missione.
Già, perché la Chiesa, o è missionaria, o è «in uscita» oppure non è: non ha senso di esistere, come ci ricordava Papa Francesco nella sua prima Esortazione Apostolica.1
Questi altri settantadue inviati da Gesù (di cui solo Luca ci parla), oltre a ricordarci che tutti i popoli2 sono destinatari all’annuncio, ci ribadiscono che non solo gli apostoli e i loro successori sono chiamati ad essere missionari, ma tutti coloro che hanno già conosciuto Cristo e si dicono discepoli del Risorto.
Per questo bisogna pregare il padrone della messe: perché, purtroppo, tanti, troppi cristiani dimenticano questo compito; perciò gli operai sono pochi rispetto all’abbondanza della messe.
Condizione necessaria
Sullo stile missionario raccomandato da Gesù mi sono soffermato nell’omelia di tre anni fa;3 perciò, oggi scelgo di riflettere sulle poche parole del “contenuto” dell’annuncio, partendo, anzitutto, dal prologo di ogni annuncio cristiano:
«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”».
Non si può parlare di Vangelo, ovvero non si può dare alcuna «buona notizia», se non nella pace: essa è il medium, il “veicolo” attraverso il quale l’annuncio può muoversi.
La pace è come l’aria che respiriamo, che permette al suono della nostra voce di diffondersi; è come l’acqua che permette ai pesci di vivere e muoversi.
È Gesù stesso a chiarire che l’annuncio non può avvenire in assenza di questa condizione:
«Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi».
“Pace” non è un semplice augurio
Però Shalòm non è un semplice saluto o augurio, ma un dono vero e proprio, che solo Dio può fare, e che ha promesso fin dai tempi antichi con la venuta del Messia, come leggiamo nella Prima Lettura:
Così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace».
Essa indica la pienezza dell’Amore di Dio, che qui viene decritto con tutte le forme di affetto e cura con cui una madre consola un figlio, allattandolo e portandolo in braccio, accarezzandolo mentre lo tiene sulle sue ginocchia.
Il discepolo del Risorto, prima di proclamare qualsiasi altra cosa, deve dire al mondo:
«Dio ci ama, come una madre ama il suo bambino!»
Mostrarsi amati da Dio
Per poter fare questo, è fondamentale che ciascuno faccia prima questa esperienza in prima persona, perché altrimenti non sarebbe credibile: l’annuncio dell’Amore di Dio non può avvenire a parole, ma solo essendone un’icona vivente.
Agapetòi, che in greco significa “amati”, è uno dei nomi con cui venivano chiamati i discepoli del Maestro:4 chi ha conosciuto il Dio di Gesù Cristo, che è Amore, non può che sentirsi amato e amare così a sua volta.5
Solo la certezza di questo Amore fa scendere la pace nel cuore, come un fiume in piena.
Semplicemente guarire e rassicurare
Il secondo “step” è l’annuncio vero e proprio, che è fatto di gesti e di parole,6 proprio come il ministero di Gesù:
«Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”».
Prima di arrivare alle guarigioni e alla proclamazione del Regno di Dio che viene, però, non è da trascurare l’invito a mangiare quello che ci viene offerto: è lo stile di semplicità e sobrietà adottato da Dio quando ha preso forma di uomo in Gesù.
Anche questo è un segno di vicinanza che rende manifesta la tenerezza di Dio: in Cristo, Dio si è fatto uno di noi e ha condiviso in tutto e per tutto (eccetto il peccato) la nostra condizione di povertà umana.7
Questa condivisione e vicinanza, questo farsi prossimo8 rende già efficace e manifesta l’imminente venuta del Regno di Dio, ed è il primo (e forse l’unico) balsamo che noi possiamo applicare alle ferite dell’umanità per la guarigione di ogni sorta di malattia, fisica o spirituale.
- «”Non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese”… è necessario passare “da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria”»: V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (31 maggio 2007), 548 e 370, citato in Papa Francesco, Evangelii Gaudium (24 novembre 2013), 15. ⤴
- Di cui il 72 (o 70, a seconda delle tradizioni) è la rappresentazione simbolica nella numerologia biblica derivata dall’elenco che si può trovare in Genesi 10. ⤴
- Cfr Agnelli, non lupi! Omelia per domenica 3 luglio 2022. ⤴
- Cfr ad esempio 1Gv 2,7, che la versione italiana traduce con “carissimi”. ⤴
- Cfr 1Gv 4,7s. ⤴
- Gestis verbisque, locuzione latina che significa “nelle opere e nelle parole”, è un concetto chiave della costituzione conciliare Dei Verbum del Vaticano II (in particolare il n. 2), che sottolinea come la Rivelazione divina non avvenga solo attraverso la parola (verba), ma anche attraverso le azioni e gli eventi della storia (gesta). In altre parole, Dio si rivela agli uomini sia attraverso la Sua parola trasmessa nella Sacra Scrittura, sia attraverso gli eventi e le opere che compie nel mondo. ⤴
- «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato»: Concilio Vaticano II, Gaudium et spes 22. ⤴
- Cfr Lc 10,33s. ⤴