Per grazia di Dio. 5ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Per grazia di Dio!

Se siamo qualcosa o qualcuno è solo per grazia di Dio. Solo rimettendo la nostra vita nelle Sue mani possiamo realizzare noi stessi e i Suoi progetti

Letture: Is 6,1-2.3-8; Sal 137 (138); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11

Piccolezza della miseria umana e grandezza della misericordia di Dio: questo è il “filo rosso”, il tema conduttore della Parola di Dio che ci viene donata oggi.

Le vocazioni di Isaia nella prima lettura, dell’apostolo Paolo nella seconda, e dell’apostolo Pietro nel vangelo, sono accomunate proprio da questa presa di coscienza: Dio sceglie sempre gli strumenti che possono sembrare più deboli e inadatti per manifestare la Sua grandezza e il Suo infinito Amore.

Fa tutto il Signore?

Essere «un uomo dalle labbra impure» come Isaia, o «il più piccolo tra gli apostoli» come Paolo, o «un peccatore» come Pietro poco importa al Signore, perché Egli «farà tutto per me» (cfr Sal 138,8).

Nelle tre esperienze narrate dalle pagine bibliche di questa domenica sembra davvero che sia il Signore a fare tutto… è Lui che purifica le labbra del profeta:

Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».

È Lui che fa grazia all’apostolo delle genti:

Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.

È Lui che trasforma il pescatore infruttuoso in un valido “pescatore di uomini”:

Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Sì, ma occorre lasciarlo fare

È vero: fa tutto il Signore nella nostra vita, ma ad una condizione indispensabile: riconoscere che solo Lui può tirarci fuori dalla nostra miseria e dai nostri fallimenti.

I tre personaggi della Parola di Dio odierna hanno in comune il riconoscimento della propria miseria, della propria inadeguatezza, del proprio peccato, assieme alla meraviglia e allo stupore che Dio voglia avere a che fare proprio con loro:

«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono…

eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti»

Io sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio… Per grazia di Dio, però, sono quello che sono…

«Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui…

Sentire la bassezza della propria condizione non ha impedito loro di rialzarsi, perché sono stati disposti a lasciar fare a Dio, a lasciarsi risollevare da Lui, a lasciarlo fare.

Noi che vogliamo salvarci da soli

Isaia, Paolo e Pietro non si sono arenati nella loro miseria; invece noi spesso ci maceriamo e ci roviniamo perché ci intestardiamo a non cedere, a “non mollare mai la presa”.

Siamo come quei Cowboy che – caduti da un cavallo imbizzarrito – non sono disposti a mollare la fune e si lasciano trascinare in una folle corsa strusciando a terra fino alla morte: preferiscono perdere se stessi piuttosto che rinunciare alle proprie idee e convinzioni.

Quante volte – invece di riconoscere di aver sbagliato – perseveriamo nell’errore fino all’autodistruzione?

Ci diciamo «io sono fatto così, non posso fare altrimenti»; ci vantiamo di essere “coerenti con noi stessi”, pur sapendo che «errare è umano, ma perseverare è diabolico».

Imparare la rassegnazione

Dalle tre figure bibliche che ci sono poste innanzi oggi, invece, dovremmo imparare la rassegnazione: è un termine frainteso, ma che mi piace sempre riprendere e spiegare ogni volta.

Rassegnazione non significa mettersi in un angolo col broncio e dire: «mi tocca subire questa cosa», ma ri-mettere nelle mani di Dio la nostra vita, riconoscendo che solo Lui la sa riportare sui giusti binari.

Rassegnazione significa “ri-assegnazione” della nostra esistenza, di quello che siamo, nelle mani amorevoli di Colui che ci ha creati e ci ha chiamati a Sé per compiere la Sua volontà e realizzare i Suoi progetti di Amore su di noi.

Un po’ come quando il papà sta insegnando al figlio ad adoperare un attrezzo e – vedendo che non lo maneggia bene – lo invita a ridarlo a lui per mostrargli nuovamente come si usa: se il figlio si intestardisce a dire «so io come si fa», non solo non imparerà mai, ma rischierà di farsi male.

Riconoscere la grazia di Dio

Non è intestardendosi sulle proprie convinzioni che si cresce, ma lasciando fare al nostro Padre celeste.

Pietro e Paolo erano due grandi testoni, due caratteri assolutamente improponibili, eppure hanno saputo cedere davanti al Signore e ri-orientare la loro tenacia e durezza interiore per il giusto scopo: l’annuncio del Vangelo.

Fare affidamento solo sulle proprie forze ci porta a sprecarle; se invece lasciamo agire la grazia di Dio in noi avviene una trasformazione radicale, che ci fa passare dalla morte alla vita.

Proprio come quella che avviene in Pietro da pescatore di pesci a “pescatore di uomini”: per pescare pesci occorre uccidere delle creature togliendole dal loro ambiente naturale… per “pescare uomini” occorre salvarli e farli rivivere, traendoli fuori dalle acque della morte e del peccato.

È riconoscendo che Dio sa fare meglio di noi che lasciamo agire la Sua grazia, in modo che non sia vana.

Contro ogni logica

Pietro avrebbe potuto ribellarsi, rivendicare il suo diritto a riposare dopo una notte di fatica inutile; avrebbe potuto dire al Signore «a predicare sei bravo, ma di pesca non te ne intendi per niente, se non sai nemmeno che i pesci non si lasciano irretire alla luce del giorno»…

Invece crede, spera contro ogni speranza come Abramo (cfr Rm 4,18); agisce contro ogni logica umana:

«Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».

I “se”, i “ma” e i “però” che servono

Siamo abituati a vivere in un mondo in cui – per essere considerati forti e credibili – bisogna agire sfrontatamente, «senza “se” e senza “ma”»… invece Pietro e Paolo fanno partire la loro nuova esistenza proprio da un “ma” e da un “però”:

«…ma sulla tua parola getterò le reti»

Per grazia di Dio, però, sono quello che sono.

Mentre il mondo continua a dirci che non valiamo nulla se non appariamo invincibili, il Signore ci fa capire che proprio quando affidiamo a Lui i nostri sbagli e i nostri fallimenti, è allora che valiamo.

Coi piedi per terra

Saper riconoscere i propri limiti e lasciarsi correggere è fondamentale: è proprio l’esperienza dell’essere prima “pescati” dal Signore che ci rende poi pescatori.

Pietro capirà cosa vuol dire “pescare uomini” solo dopo essere stato “ripescato” dalla paura e della sfiducia che lo faceva affondare nelle acque (cfr Mt 14,28-31), dall’abisso profondo nel quale era finito col tradimento (cfr Lc 22,60-62).

È un’esperienza necessaria, che ci aiuta a “stare coi piedi per terra”, un’esperienza comune ai grandi santi: nessuno nella Chiesa è solo pescato o solo pescatore.

Sant’Agostino lo sapeva molto bene, tanto che – parlando al popolo – un giorno ebbe a dire:

«Per voi sono vescovo, ma con voi sono cristiano» (Discorso 340,Nell’anniversario della sua ordinazione, 1).

Santi peccatori, peccatori santi

Il nostro peccato non è un ostacolo se lo sottoponiamo alla grazia di Dio: usando una bella espressione che abbiamo pregato tante volte a ottobre durante il Pellegrinaggio Pastorale del nostro vescovo, dobbiamo riconoscere di essere «santi peccatori e peccatori santi».

Riconoscendoci nell’esperienza di Isaia, Paolo e Pietro, possiamo sentirci a nostra volta chiamati a realizzare il disegno di Dio, nonostante le nostre fragilità, anzi: proprio a partire dalle nostre miserie.

Infatti, sempre Sant’Agostino, leggendo le vite di altri uomini che si erano convertiti e fatti santi, diceva:

«Si isti et istae, cur non ego?»“Se hanno potuto loro perché non potrei farlo anch’io?” (Confessioni IX, c. 27).

Grati per la grazia di Dio

Perciò, siamo chiamati anche noi a non fermarci a considerare solo i nostri limiti, ma soprattutto la grazia di Dio e la Sua infinita misericordia.

Siamo chiamati a rendere vera in ciascuno di noi l’espressione di san Paolo:

Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.

Oggi mi sento di ringraziare pubblicamente il Signore per il dono di conoscerlo, per il dono di avermi chiamato alla vita, alla fede… e anche a fare il prete; non perché io sia più bravo di altri, ma proprio perché Egli conosce i miei difetti, e li ama, e dà il coraggio anche a me di guardare in faccia ai miei limiti e di non sentirmi solo, ma di sentirmi amato… così!

Che ciascuno di noi possa fare questa esperienza!