Perché nascere, se la vita è solo sofferenza?

Perché nascere per soffrire?
Omelia per martedì 1° ottobre 2024

I «perché?» di Giobbe sono il condensato del grido dell’innocente. Lamenti, domande e proteste, se rivolti con fiducia a Dio, sono preghiera autentica.

Letture: Gb 3,1-3.11-17.20-23; Sal 87 (88); Lc 9,51-56

Nella Prima Lettura di oggi ci viene offerto un secondo “assaggio” del Libro di Giobbe.

Trasformazione interiore

Se ieri, alla fine del primo capitolo, Giobbe ci aveva dato una lezione di irremovibile fede in Dio, nonostante le sciagure che erano piombate sulla sua vita, oggi lo ritroviamo distrutto, a maledire il giorno della sua nascita:

«Perisca il giorno in cui nacqui..
Perché non sono morto fin dal seno di mia madre…?»

Come mai?

Questa “trasformazione” è comprensibile solo se si legge la “puntata mancante”, ovvero il “secondo round” della “scommessa” tra Satana e Dio, raccontato nel secondo capitolo:

Il Signore disse a Satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? …Egli è ancora saldo nella sua integrità…». Satana rispose al Signore: «…stendi un poco la mano e colpiscilo nelle ossa e nella carne e vedrai come ti maledirà apertamente!». Il Signore disse a Satana: «Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita».

Satana… colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo (cfr Gb 2,1-8).

Nonostante tutto…

Ma non è nemmeno questa ennesima sciagura e sofferenza fisica a far cedere la sua resistenza, e nemmeno le critiche della moglie che lo dileggia: Giobbe rimane saldo nella fede e continua non accusare Dio (cfr Gb 2,9-10).

Dolore fisico e dolore morale

È solo dopo che tre “amici” sono venuti per condividere il suo dolore e consolarlo, e che per sette giorni e sette notti sono stati in silenzio seduti per terra accanto a lui che il dolore trasborda dalle labbra e si trasforma in lamento.

Questo ci aiuta a intravedere in Giobbe quel processo che avviene in ogni uomo, quando il dolore fisico si “espande” e invade mente e cuore: è il dolore morale, l’elaborazione del lutto, la percezione profonda a livello esistenziale dello sfaldarsi del senso di ogni cosa.

L’Antico Testamento ha il grande merito di presentare il dolore umano in tutta la sua tragicità, senza sminuirlo né edulcorarlo.

Il lamento è preghiera

Sebbene in modo oscuro, Giobbe intuisce che la giustizia e la sapienza di Dio devono incontrarsi, in uno spazio che, però, è al di fuori dell’esperienza umana; perciò, non vedendo una soluzione plausibile sulla terra, non sa che auspicarsi la morte.

A un primo sguardo, lo sfogo di Giobbe potrebbe sembrare una serie di blasfemie e bestemmie, ma non è così, perché la sfilza dei suoi «perché?» non è rivolta al muro, ma a Dio, riconoscendo che solo Lui può spiegare il senso della vita, anche e soprattutto quando essa sembra non averne più alcuno.

Lo consiglio spesso ai tanti penitenti che in confessione vengono ad aprire il cuore e manifestare tutta la loro disperazione:

non chiuderti in te stesso; non piangerti addosso; rivolgi al Signore tutti i tuoi «perché?», i tuoi lamenti e le tue proteste, perché solo Lui conosce il senso profondo di quello che stai vivendo, e solo Lui te lo può rivelare pian piano, un po’ alla volta, in modo misterioso… anche il lamento, la protesta di un figlio sono preghiera gradita al Padre Celeste.

Il dolore non ha l’ultima parola

Proprio questa confidenza di figlio aiuterà Giobbe a intravedere spiragli di luce (è il brano che ascolteremo giovedì).

Per noi discepoli del Crocifisso-Risorto, poi, il dolore innocente trova luce e speranza, perché in Cristo, vittima innocente che ha offerto la Sua vita per tutti noi, il dolore non ha più l’ultima parola, e non è più insensato, ma è il “luogo” dell’Amore più grande (cfr Gv 15,13).