Pregare è osare… arrivando fino a uno. 17ª Domenica del Tempo Ordinario (C)
Pregare è avere tanta confidenza in Dio da non aver paura di osare: Lui ha già pensato di concederci molto di più.
Letture: Gen 18,20-32; Sal 137 (138); Col 2,12-14; Lc 11,1-13
Le pagine bibliche di questa domenica sono un magistrale insegnamento sulla preghiera.
Dico subito che non farò un commento al Padre Nostro secondo Luca.
Primo perché non sarei in grado, se non attingendo a sterminati studi di esegetica.
Secondo perché non credo che una breve omelia domenicale possa bastare e nemmeno rendere ragione alla preghiera che ci ha insegnato nostro Signore. Occorre approfondirla con un’adeguata e prolungata catechesi (è quello che abbiamo fatto in parrocchia nei mesi passati durante la catechesi agli adulti, e che riprenderemo a metà ottobre).
Terzo perché mi pare che le tre letture ci orientino a puntare lo sguardo più sull’atto del pregare che sul “contenuto” e sulla forma (inteso come “le parole”) della preghiera.
È vero: uno dei discepoli chiede a Gesù di insegnare loro a pregare come aveva fatto Giovanni Battista coi suoi discepoli e Gesù risponde immediatamente con la formula del Padre Nostro.
Se il testo finisse qui potremmo dire che Gesù ci abbia comandato di pregare sempre e solo la sua preghiera.
Ma non è così.
Il contesto della preghiera di Gesù
Sia nel vangelo di Luca (il nostro brano odierno) che in quello di Matteo, la preghiera del Padre Nostro è “incastonata” dentro un contesto ben preciso.
In Matteo (6,5-14) ci troviamo in quello scorcio del “Discorso della montagna” che riguarda la preghiera. Una preghiera da fare «nel segreto», perché solo il Padre celeste la veda. Una preghiera diversa da quella degli ipocriti, fatta solo per farsi notare e lodare dalla gente; diversa anche da quella dei pagani, che credono di essere ascoltati dagli dèi a forza di parole. Ma ciò che segna più di tutto il motivo conduttore e condensa il senso del pregare con il Padre Nostro sono le parole della chiosa finale:
«Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi».
Credo che – oltre ad istituire la reciprocità tra il perdono di Dio all’uomo e quello degli uomini tra loro – questa chiusura intenda nuovamente ribadire il comando di Gesù (di qualche versetto precedente) di assomigliare al Padre celeste in tutto e per tutto:
«Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
In Luca, il Padre Nostro ha tutt’altro contesto. La richiesta dell’insegnamento della preghiera dipende dall’esperienza di Gesù. I discepoli, avendolo visto pregare, desiderano imparare a pregare come Gesù.
Luca è l’evangelista che più degli altri sottolinea la preghiera di Gesù.
Ad esempio, nel racconto del battesimo, solo Luca dice che Gesù stava in preghiera (è un evento che accade durante la preghiera).
E solo Luca, riferendo l’episodio della Trasfigurazione, dice che Gesù sale sul Tabor a pregare.
E anche in Luca, è la chiosa finale successiva alle parole del Padre Nostro a dare il senso del pregare secondo Gesù. I due esempi di insistenza umana (l’amico che viene ad importunare di notte, e il padre che dà cose buone ai propri figli) con incastonati i tre consigli famosissimi («Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto»), fanno capire che a Gesù interessa non solo insegnare quali parole rivolgere al Padre celeste, ma anzitutto far capire come rivolgersi a quel Padre e perché: con insistenza, perché quel Padre non sa dire di no:
«Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!»
Osare come Abramo e come Mosè
Ed è questa indicazione che viene preparata magistralmente dalla prima lettura di oggi, tratta dalla Genesi, che ci racconta dell’ardita intercessione di Abramo in favore delle città di Sodoma e Gomorra.
Ricordo che quando don Patrizio Rota Scalabrini ci spiegava questa pagina ci faceva notare che lo stile è quello della tipica contrattazione tra beduini del deserto, che cerca di spuntare il miglior risultato a proprio favore. Il fatto che Abramo sia consapevole di trattare nientepopodimeno che con Dio stesso, ci fa rimanere meravigliati di fronte alla confidenza che ci può (e deve) essere tra l’uomo di preghiera e il suo Dio. Come quando i libri del Pentateuco ci descrivono Mosè:
«Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè – lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia» (Dt 34,10; cfr anche Es 33,11).
Osare più di Abramo
Ma se è già mirabile la confidenza di Abramo con Dio, Gesù ci invita ad essere ancora più audaci, ad osare ancora di più.
Abramo, forse per timore di esagerare nelle richieste o di irritare il Signore, si fermò a dieci (possibili giusti per cui sarebbe valsa la pena di aver pietà delle città di Sodoma e Gomorra). Ma Dio si sarebbe “accontentato” anche di uno solo!
Lo sappiamo dalla preghiera del Salmo 14:
«Il Signore dal cielo si china sugli uomini
per vedere se esista un saggio:
se c’è uno che cerchi Dio.Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti;
più nessuno fa il bene, neppure uno».
Da questi tragici versetti capiamo che a Dio basterebbe trovare un solo giusto sulla terra (che magari preghi per tutta l’umanità nello stesso modo dei grandi intercessori Abramo e Mosè) ma non vi trova nessuno.
Sembrerebbe quindi un epilogo tragico.
Ma non è così, perché noi sappiamo che, dopo quello sguardo gettato dal cielo, Dio non si è rassegnato. Non ha pensato di cancellare l’umanità con un colpo di spugna, dato che ormai era tutta traviata e corrotta.
Dio ha scelto di mandare quell’unico giusto che avrebbe potuto intercedere a favore di tutta l’umanità traviata e corrotta: suo Figlio Gesù:
«Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,17).
Ecco perché Gesù ci invita ad essere insistenti nella preghiera. Non tanto perché il Padre celeste sia duro d’orecchi o difficile da convincere in un’improbabile e impari trattativa, ma perché dobbiamo insistere oltre la misura già ardua di Abramo, nostro padre nella fede. Dobbiamo avere il coraggio di arrivare fino ad uno, perché solo allora si compiranno il disegno e la volontà del Padre:
«questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39).
Pregare dunque è osare, arrivando fino ad uno!