Prendere la croce. 24ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Prendere la croce
Omelia per domenica 15 settembre 2024

Se si vuole essere discepoli del Cristo c’è solo una strada: rinnegare se stessi e accogliere la Croce ogni giorno: prendere o lasciare.

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Letture: Is 50,5-9; Sal 114 (116); Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

La pagina di vangelo di oggi è il punto di svolta nella narrazione di Marco, la linea di demarcazione tra la proclamazione di Gesù come il Cristo e l’inizio di un faticoso percorso di discepolato per capire cosa significhi veramente questo appellativo.

Non è un soprannome

“Cristo” non è un soprannome; non è il secondo nome o il “suffisso” di Gesù; non è un titolo onorifico, ma l’identificazione totale tra Gesù è la volontà del Padre Suo.

Gesù ha accettato di riconoscersi come «Colui che il Signore ha consacrato con l’unzione»,1 ma di un’unzione che non è quella gloriosa del re, quanto piuttosto quella del profeta, e del profeta sofferente descritto con largo anticipo da Isaia nella Prima Lettura.

Comincia la catechesi

Anche a noi, come ai discepoli quel giorno a Cesarea di Filippo, oggi Gesù comincia

a insegnare che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

E abbiamo bisogno di questa “catechesi” perché – se è pur vero che, in mezzo a tanti che si dicono “cristiani” a sproposito (riconoscendo in Gesù solo uno tra i tanti uomini “in gamba” del passato), almeno noi crediamo che Egli è il Figlio di Dio – ciò non basta: anche gli indemoniati lo additavano come «il santo di Dio».2

Da noi, se vogliamo essere Suoi discepoli, Gesù pretende di più: ci chiede di accettare che il modo di essere uomo scelto da Dio è quello di prendere la Croce e abbracciare la sofferenza.

Meglio il silenzio

E finché non saremo pronti ad accettarlo ci impone il silenzio, come tacitò gli spiriti impuri che blateravano titoli (non per adorarlo ma per rigettarlo), come ai Suoi discepoli quel giorno:

ordinò severamente di non parlare di lui ad alcuno.

Sì, anche a noi il Signore chiede di stare zitti in silenzio, di non predicare, di non riempirci la bocca di titoli, fintantoché non saremo disposti ad essere Suoi discepoli, ovvero: ad andare dietro a Lui, diventando un Vangelo vivente.

Cristiani a parole?

Noi dove siamo? Dietro o davanti a Lui? O distanti mille miglia, da tutt’altra parte?

Predichiamo il Crocifisso ma poi facciamo di tutto per “dribblare” la Croce?

Facciamo come Pietro che, con la scusa che il mondo non è pronto per capire un Dio sconfitto e sofferente, vogliamo insegnare a Gesù che forse è meglio barcamenarsi in mezzo alle acque paludose della vita cercando di dare il meno fastidio possibile?

O – peggio – chiediamo al Signore il permesso di essere “cristiani” solo a parole, sul pulpito, usando la Croce come un simulacro?

Quanti “cristiani”, anche sacerdoti, lo sono solo di nome e, invece di prendere la Croce sulle spalle, la appendono al collo, sulle pareti o a penzolare dallo specchietto retrovisore dell’auto!

Meglio stare zitti allora, davvero!

Accogliere e trasformare

Attenti bene che non sto invitando nessuno al masochismo, a cercare la sofferenza fine a se stessa!

L’ho detto tante volte: le “croci” (come le chiamiamo noi) arrivano da sole e ne arrivano in abbondanza! Ma non tutte sono assimilabili alla Croce di Cristo.

Un conto sono le contrarietà della vita, che spesso nascono dal nostro essere ottusi, orgogliosi ed egoisti, incapaci di un umile dialogo coi fratelli e di una sapiente lettura della storia, un conto sono le sofferenze che ci vengono inflitte ingiustamente per la nostra fedeltà al Vangelo e testimonianza della Verità.

Allora la Croce è da prendere, ovvero da accogliere e trasformare.

“Prendere” è un verbo attivo, non passivo: non siamo chiamati a “fare le vittime” (in senso negativo) ma, come Cristo, ad offrirci come vittima, facendo della sofferenza un dono gratuito per la salvezza del mondo.

Prendere o lasciare

Ed è una conversione continua, che non si fa una tantum.

La domanda di Gesù «voi, chi dite che io sia?» è posta per la strada, continuamente, ad ogni passo del nostro cammino cristiano: ogni giorno il Signore ci chiede di confermare se siamo ancora disposti a rinnegare noi stessi, a prendere la nostra croce e seguirlo, oppure vogliamo andarcene anche noi (cfr Gv 6,66-67).

Quel «se qualcuno vuol venire dietro a me» è dirimente: o si accoglie la Croce, ogni giorno, o si smette di seguire Gesù, di essere Suoi discepoli: prendere o lasciare.

Vale per tutte le scelte importanti della vita, come per una persona sposata che decidesse anche solo per un attimo di abdicare alla sua promessa di fedeltà.


Che il Signore ci conceda la stessa umiltà di Pietro che – dopo tanti sbandamenti causati dall’orgoglio e dalla presunzione – capì che l’unico modo per non buttare la vita era perderla per amore: prendere la Croce con il Maestro e andare dietro a Lui.

  1. “Cristo” è il corrispondente greco dell’ebraico “Messia”, cioè “unto” (cfr Is 61,1-3 e Lc 4,16-21). Nell’antico Israele, venivano consacrati solennemente, col rito dell’unzione, i re, i sacerdoti e i profeti. ↩︎
  2. Cfr Mc 1,23-24; Mc 3,11; Mc 5,7. ↩︎