Restiamo fragili! Festa di san Giacomo apostolo

Fragili vasi di creta

Se vogliamo seguire il Maestro dobbiamo rimanere sempre fragili vasi di creta che portano un tesoro prezioso, per poterci spezzare e diffondere il Suo profumo.

Letture: 2Cor 4,7-15; Sal 125 (126); Mt 20,20-28

All’inizio della prima lettura di oggi c’è un’immagine molto bella. Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Corinto dice:

noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi.

Credo che sia una delle similitudini paoline più efficaci per esprimere in modo perfetto la realtà di ogni cristiano, e oggi in particolare quella dell’apostolo Giacomo.

Dimenticarsi di essere creature

Siamo noi i vasi di creta, ovvero: polvere di argilla bagnata con acqua, modellata sapientemente e indurita al fuoco… Ma – come dicevo qualche giorno fa – rischiamo sempre di dimenticare la nostra creaturalità:

Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
«Non mi ha fatto lui»?
E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»
? (cfr Is 29,16)

Non siamo altro che una manciata di polvere (cfr Gen 2,7), e se non fosse per l’alito di vita che Dio soffia nelle nostre narici, non saremmo nulla… ma il rischio di montarsi subito la testa e crederci chissà chi è sempre dietro l’angolo.

Non è solo un difetto dei superbi, ma di ogni uomo, e anche l’apostolo Giacomo non ne è stato esente.

Forse perché fu tra i primi ad essere chiamati, sul lago di Galilea? (cfr Mc 1,16-20)

Forse perché faceva parte del “trio delle meraviglie”, sempre vicino a Gesù anche nei “momenti clou”, come la Trasfigurazione (cfr Mc 9,2-10), la risurrezione della figlia di Giàrio (cfr Lc 8,41-56), l’agonia nel Getsemani (cfr Mc 14,32-34)?

C’è sempre il rischio di dimenticare che noi siamo solo vasi di creta, contenitori fragili di un tesoro prezioso, come ci rimprovera san Paolo:

Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? (cfr 1Cor 4,7)

Il rischio di credersi Dio

Il fatto è che – quando si crea questa sicurezza di sé – è un attimo credersi più di quello che si è veramente.

Due episodi ci rivelano questa “caduta di stile” nell’apostolo Giacomo.

Il primo è quello che – probabilmente – ha guadagnato a lui e al fratello Giovanni il titolo di boanèrghes (figli del tuono):

Quando videro ciò [che i Samaritani non volevano ricevere Gesù], i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». [Gesù] Si voltò e li rimproverò (cfr Lc 9,51-56).

Così sicuro e pieno di sé da voler risolvere le cose “alla sua maniera”, in modo efficace e definitivo, come se fosse Dio: padrone della vita e della morte!

L’altro è quello narrato nel vangelo di oggi, sempre in compagnia del fratello (e della madre): così superbo da credere di poter meritare un posto d’onore nel Regno dei Cieli!

Sono peccati di superbia che devono preoccupare ciascuno di noi. Per questo – saggiamente – l’apostolo Paolo ci mette in guardia e ci esorta:

Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare… non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato (cfr Rm 12,2-3).

Primi alla maniera di Gesù

Giacomo – conformandosi a questo mondo – voleva essere il “primo alla maniera umana”, ma Gesù ha subito orientato lui e i suoi compagni verso la giusta direzione:

«Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Per questo ha chiesto la sua disponibilità a bere il calice che Lui stava per bere.

La risposta pronta («Lo possiamo») – mossa dall’impeto umano – andava ancora educata, in lui e in tutti gli altri. Dovevano tutti compiere un indispensabile cammino di conversione, camminando dietro a Gesù e passando attraverso la Sua Passione, Morte e Risurrezione.

La necessaria trasformazione

Giacomo, Giovanni e tutti gli altri erano “sulla stessa barca” della superbia, ma stare con Gesù e seguirlo fino al Calvario li ha “trasformati”.

Di questa trasformazione ci parla molto bene San Giovanni Crisostomo:

Notate come tutti gli apostoli siano ancora imperfetti, sia i due che vogliono innalzarsi sopra i dieci, sia gli altri che hanno invidia di loro. Ma, come ho già detto, osservateli più tardi, e li vedrete esenti da tutte queste miserie. Giovanni stesso, che ora si fa avanti anche lui per ambizione, cederà in ogni circostanza il primato a Pietro, sia nella predicazione, sia nel compiere miracoli, come appare dagli Atti degli Apostoli. Giacomo, invece, non visse molto tempo dopo questi avvenimenti. Dopo la Pentecoste infatti sarà tale il suo fervore che, lasciato da parte ogni interesse terreno, perverrà ad una virtù così elevata da essere ritenuto maturo di ricevere subito il martirio.

(San Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo, 65, 2-4)

Giacomo, infatti, fu il primo a dare la vita per il Signore, a bere quel calice (fu fatto uccidere di spada da Erode Agrippa a Gerusalemme nel 42 d.C. – cfr At 12,1-2).

Fragili come noi

Insomma, anche gli Apostoli, le “colonne” della fede (cfr Gal 2,9) su cui si fonda e appoggia la nostra piccola fede, erano fragili vasi di creta, non dei “superuomini”.

Magari si credevano tali all’inizio, ma poi la sequela di Cristo li ha trasformati totalmente.

Piccini, fragili, caratteriali e umorali… proprio come noi!

Eppure scelti dal Signore, proprio «affinché apparisse che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi».

Strumenti apparentemente inadatti, ma perfetti nelle mani di Dio, perché il Signore non cerca i migliori, ma – se ci lasciamo adoperare docilmente – ci rende migliori, ci fa Suoi strumenti, ci fa santi.

Un vaso di terracotta in mezzo…

Tornando all’immagine paolina dei vasi di creta con cui ho aperto la riflessione, mi viene in mente una bellissima (e altrettanto famosa) citazione del Manzoni:

Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s’era dunque accorto, pria quasi di toccar gli anni della discrezione, d’essere, in quella società come un vaso di terracotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro.

(Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, I)

Viviamo in un mondo di prepotenti, di “vasi di ferro”, dove chi alza di più la voce e agisce in modo spregiudicato si fa largo nella società (basta vedere cosa sta succedendo in questi giorni che è ripartita la campagna elettorale).

Ma il discepolo deve sempre tenere a mente le parole del Maestro:

«i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo…»

La tentazione di diventare “vasi di ferro” anche noi, di diventare lupi anziché «agnelli in mezzo ai lupi», di tirar fuori la spada come Pietro nel Getsèmani (cfr Gv 18,10), è sempre dietro l’angolo.

Restiamo fragili!

Ma noi abbiamo il compito di spandere il profumo di Cristo (cfr 2Cor 2,15), e perché questo avvenga, dobbiamo essere come quel vasetto di alabastro che – per lasciare uscire tutto il prezioso nardo al suo interno – deve lasciarsi rompere, così che tutto il mondo si riempia di quel profumo (cfr Mc 14,3 e Gv 12,3).

Restiamo “vasi di terracotta”, sempre, restiamo fragili, restiamo umani!

Questo è il martirio: non solo quello violento del lasciarsi togliere la vita, ma anche e soprattutto quello del diventare – giorno per giorno – remissivi e docili, «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (cfr Mt 10,16).

Solo così l’Amore del Cristo crocifisso potrà scorrere e diffondersi in tutto il mondo.