Saper distinguere

Saper distinguere

Il Signore si lascia anche accusare da noi, ma poi ci chiede di considerare la “posta in gioco”, e di saper distinguere ciò che vale da ciò che è vile.

Commento alle letture di mercoledì 27 luglio 2022

Letture: Ger 15,10.16-21; Sal 58 (59); Mt 13,44-46

Tutti hanno i loro momenti di fatica e ripensamento, anche i grandi profeti come Geremia; e quello raccontato nella prima lettura di oggi è proprio un momento di grande crisi interiore durante il suo ministero.

Quanto mai sono nato!

Nel primo versetto – anche se in modo velato – il profeta arriva addirittura a maledire il giorno della sua nascita:

Me infelice, madre mia! Mi hai partorito
uomo di litigio e di contesa per tutto il paese!

Non è l’unico caso nella Scrittura in cui la tristezza e la frustrazione arrivano a far desiderare di non essere mai nato; il più famoso è quello di Giobbe (che ne aveva ben donde):

«Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.

Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?»
(cfr Gb 3,3.11)

Io ho fatto la mia parte, ma…

Nei versetti che il nostro brano non riporta, Geremia si lamenta con Dio dicendogli di avercela messa tutta, ma senza risultato, per la difficoltà della missione affidatagli:

In realtà, Signore, ti ho servito come meglio potevo…
Potrà forse il ferro spezzare
il ferro del settentrione e il bronzo? (cfr Ger 15,11-12)

Poi ricorda il suo entusiasmo iniziale nell’accogliere la missione affidatagli:

Quando le tue parole mi vennero incontro,
le divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore,
perché il tuo nome è invocato su di me,
Signore, Dio degli eserciti.

Rivendica di non essersi mai distratto nell’ozio e nel divertimento:

Non mi sono seduto per divertirmi
nelle compagnie di gente scherzosa…

Infine, rimprovera il Signore di averlo reso un uomo solo, a causa delle Parola che doveva annunciare:

ma spinto dalla tua mano sedevo solitario,
poiché mi avevi riempito di sdegno.

È l’esperienza di tanti che prendono sul serio la Parola di Dio e la propria vocazione cristiana: se si sceglie il Signore, automaticamente ci si pone contro a tutto il mondo (intendendo “mondo” nell’accezione tipica dell’evangelista Giovanni: cfr Gv 15,18-21).

Pane al pane, vino al vino

Il rapporto tra Geremia e Dio è così schietto e diretto che il Profeta non ha nessun riguardo nell’accusarlo di tutto il dolore che sta provando:

Perché il mio dolore è senza fine
e la mia piaga incurabile non vuole guarire?
Tu sei diventato per me un torrente ìnfido,
dalle acque incostanti.

L’immagine del «torrente ìnfido» sottende addirittura una volontà di imbroglio da parte del Signore, che sarebbe “incostante”: uno di cui non ci si può fidare, insomma!

Quando è troppo è troppo

Non è l’unico testo di accusa che troviamo in Geremia; il più forte è quello che si legge al capitolo 20:

Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me (cfr Ger 20,7-18)

Un testo veramente forte, dove – senza mezzi termini – il profeta dice a Dio di averlo attirato con l’inganno e la seduzione per poi violentarlo. Sì, avete letto bene: si parla di violenza carnale!

Anche questo lungo lamento terminerà con la domanda fondamentale, su che senso abbia nascere e vivere se il destino dell’uomo è la sofferenza:

perché non mi fece morire nel grembo;
mia madre sarebbe stata la mia tomba
e il suo grembo gravido per sempre.
Perché sono uscito dal seno materno
per vedere tormento e dolore
e per finire i miei giorni nella vergogna? (Ger 20,17-18)

Dio è il grande educatore

Anche Dio non ha paura di rispondere “per le rime” ai lamenti del Suo inviato (ci verrebbe da dire: «va beh! essendo Dio, se lo può permettere», ma la cosa è comunque da rimarcare per come il dialogo tra Dio e il profeta è schietto, senza fronzoli e diplomazie).

Lungi dal lenire l’angoscia e la frustrazione di Geremia, Dio la condanna come «vile», ed esige dal profeta una nuova «conversione»:

«Se ritornerai, io ti farò ritornare
e starai alla mia presenza;
se saprai distinguere ciò che è prezioso
da ciò che è vile…»

È un grande educatore Dio: capisce e sa quando è il momento di consolare e quando – invece – di scuotere.

Sì, perché ci sono dei momenti in cui la crisi e la fatica sono causate da fattori esterni, ma altri (moltissimi e i più frequenti) dalle nostre “paturnie”, dal nostro piangerci addosso e dare più peso agli ostacoli che al traguardo che vediamo all’orizzonte.

Saper distinguere

Sostanzialmente – come nella prima vocazione che abbiamo letto il 20 luglio scorso – Dio invita Geremia a non mettere sullo stesso piano le proprie difficoltà (sia personali che derivanti dal ministero) e la forza che Lui gli ha dato nel chiamarlo come profeta.

I due testi sono speculari. Eccoli a confronto:

Prima vocazioneRinnovo della vocazione
«Non aver paura di fronte a loro,
perché io sono con te per proteggerti
Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca.
Vedi, oggi ti do autorità
sopra le nazioni e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare» (cfr Ger 1,8-10)
«sarai come la mia bocca...
di fronte a questo popolo io ti renderò
come un muro durissimo di bronzo;
combatteranno contro di te,
ma non potranno prevalere,
perché io sarò con te
per salvarti e per liberarti…
Ti libererò dalla mano dei malvagi
e ti salverò dal pugno dei violenti»
(cfr Ger 15,19-21)

Le nazioni e i regni cercano di combattere e ostacolare la Parola del Signore, ma non possono nulla contro la Sua potenza, che è donata all’inviato:

combatteranno contro di te,
ma non potranno prevalere
.

La promessa dimenticata

I lamenti del profeta e la sua frustrazione hanno origine non tanto dalle difficoltà della missione, ma dall’aver dimenticato la promessa di Dio:

«io sono con te per proteggerti».

Pertanto il Signore la ribadisce:

«io sarò con te per salvarti e per liberarti».

Geremia deve lasciarsi attrarre da Dio e confidare in Lui per poter convertire gli uomini da cui è mandato, non – invece – lasciarsi intimorire e ridursi come loro:

«Essi devono tornare a te,
non tu a loro…»

Cosa sono tutti i tuoi averi in confronto?

Nessuno nega che mettersi a disposizione del Signore e dell’annuncio della Sua Parola sia difficile, impegnativo, e – a volte – costi addirittura la vita, ma cosa valgono tutte le cose del mondo (e perfino la propria vita) rispetto al Regno dei cieli, ovvero a Dio stesso?

quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? (Lc 9,25)

Qui è richiesta la sapiente arte del discernimento: dobbiamo imparare a «distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile», il «tesoro nascosto nel campo» o la «perla di grande valore» rispetto a «tutti i nostri averi».

Come dirà san Paolo:

Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi (Rm 8,18).