Se zittisce i profeti, la Chiesa muore

Se zittisce i profeti, la Chiesa muore
Commento alle letture di giovedì 30 giugno 2022

Ci pensano già i potenti della terra a cercare di mettere a tacere i profeti, ma se lo fa la Chiesa… è destinata a morire!

Letture: Am 7,10-17; Sal 18 (19); Mt 9,1-8

Dicevo nella riflessione di lunedì che noi cristiani – quando Dio ci chiama a denunciare le ingiustizie di questo mondo – spesso tacciamo, per vari motivi (paura, comodo, compromesso).

Oggi – continuando la lettura del libro del profeta Amos – scopriamo un’altra motivazione (questa volta “esterna”) per la quale i profeti tacciono: i “grandi della terra” cercano di zittire chi parla a nome di Dio.

I potenti si innervosiscono

Nel brano ascoltato, Amasìa, sacerdote di Betel, dice ad Amos:

«Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno».

Non è una storia solo di allora.

Quante volte l’opinione pubblica e i mass media si innervosiscono e si indignano se il Papa “mette il becco” in argomenti sensibili?

Quando Francesco fa qualcosa che a loro sembra anticlericale o anticonformista, allora è l’eroe dei sette mari, ma quando prova a sventolare la bandiera della coerenza al Vangelo, a richiamare i valori universali, a predicare la pace, la giustizia, il rispetto del Creato… allora è un altro paio di maniche.

Si dice subito: faccia le sue prediche sull’altare! In politica non deve interferire!

Allevare serpi in seno

Quello che stupisce della vicenda narrata nel libro di Amos è che non sia direttamente il re a prendersela col profeta, ma Amasia, sacerdote di Betel: uno che col Signore – anche solo per la sua carica – doveva avere una certa affinità.

Betel (località della terra di Canaan a circa 13km a nord di Gerusalemme, nel territorio di Èfraim) era uno dei due santuari ufficiali istituiti dal re Geroboamo I quando gli Israeliti del nord si separarono da Giuda dopo la morte di Salomone. Probabilmente Amasia era il sacerdote-capo e – come responsabile per “l’ordine pubblico” nel santuario – aveva il compito di controllare anche gli eventuali profeti che vi parlavano.

Insomma: era il “sacerdote della famiglia reale”, il “lecchino” di corte.

Quante volte capita anche nella Chiesa di trovare sacerdoti e vescovi (!) che recitano la stessa parte…

Ce ne sono stati tanti nella storia recente: basti ricordare il caso eclatante di don Verzé e la sua infatuazione per Silvio Berlusconi. Ma ci sono molti altri casi più subdolamente nascosti dietro una parvenza di ordine morale…

La Chiesa odia i profeti?

Spesso la profezia dà fastidio (e si vuol far tacere) all’interno della Chiesa stessa…

A tal proposito, mi viene sempre in mente un fatto che ho già citato qualche tempo fa, riguardante i primi anni del mio ministero a Rozzano (MI).

Un sacerdote della Comunità Missionaria del Paradiso capitò in Parrocchia dicendomi in modo spiccio e senza tanti giri di parole che il Vescovo l’aveva cacciato, motivando la sua scelta con questa frase: «tu non sei un prete, sei un profeta! Così mi mandi in rovina la Parrocchia!»

Capite? Che Chiesa siamo diventati se facciamo tacere i profeti? Se mettiamo un bavaglio a chi è incaricato da Dio di scuotere il nostro torpore?

Dovremmo sempre ricordare quell’ammonimento del libro del Deuteronomio richiamato anche dall’apostolo Paolo nelle sue lettere:

«Non metterai la museruola al bue mentre sta trebbiando» (cfr Dt 25,4; 1Cor 9,9; 1Tim 5,18).

Bisogna obbedire a Dio

Come dicevo qualche tempo fa, commentando i testi della 3ª Domenica di Pasqua, bisogna avere il coraggio dell’obiezione di coscienza, come Pietro e gli altri apostoli che – al sommo sacerdote che li voleva far tacere – risposero:

«Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29)

Così, fa Amos, che risponde raccontando la sua storia di povero allevatore e agricoltore chiamato dal Signore a parlare in Suo nome:

«Non ero profeta né figlio di profeta;
ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro.
Il Signore mi prese,
mi chiamò mentre seguivo il gregge.

Il Signore mi disse
Va’, profetizza al mio popolo Israele».

Profeta non è – anzitutto – uno che predice il futuro, che annuncia sventura, ma uno che mette il Signore al primo posto, a costo anche di farsi “ribaltare” la vita.

Nella Chiesa ci sono tanti “funzionari del sacro” che – di per sé – avrebbero dovuto rinunciare alla loro vita per metterla a disposizione del Signore, ma invece non fanno altro che servirsi della loro posizione per “lisciare il pelo” al potente di turno e trarne vantaggi, in cambio – ovviamente – del silenzio (quando non addirittura del plauso e del supporto pubblico: ultimo caso eclatante il Patriarca di Mosca Kirill, che sostiene Putin).

Se la Chiesa tace e cerca di mettere a tacere i profeti è morta, perché si priva della Parola del Signore, e ne priva il mondo intero.

Gesù ci mette in guardia da questo pericolo:

Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52).

Grideranno le pietre

A volte, di fronte a questo andazzo mi viene da scoraggiarmi, ma poi mi rincuoro ricordando l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme:

…tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce… dicendo:

«Benedetto colui che viene,
il re, nel nome del Signore…».

Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (cfr Lc 19,37-40).

Il Signore è capace di suscitare profeti sempre e ovunque.

Ma almeno noi cristiani (e soprattutto noi “ecclesiastici”), vediamo di non far tacere quelli che ci sono già e che il Signore ci ha donato.