Signore, spiegami… Anzi, no…

Signore, spiegami...

Quante cose vorremmo che il Signore ci spiegasse! …ma saremmo in grado di reggere il peso di quello che dovrebbe dirci? Meglio rimanere in umile silenzio.

Omelia per martedì 26 luglio 2022

Letture: Ger 14,17-22; Sal 78 (79); Mt 13,36-43

Quante volte anche a me – come ai discepoli nel vangelo di oggi – viene spontanea questa domanda: «Signore, spiegami…»

L’ho detto a tanta gente che viene a raccontarmi le sue sofferenze in confessionale: il giorno in cui il Signore mi chiamerà al Suo cospetto, prima di ascoltare il Suo Giudizio, vorrò porgli un sacco di domande, riguardanti tutti i misteri di cui è fatta la nostra vita, in particolare quelli che riguardano la sofferenza e il dolore innocente…

Spiegami, Signore…

Una di queste domande senza risposta mi è sorta anche stamattina, appena preso in mano il messalino per leggere la Prima Lettura.

Mi sono detto: «dev’esserci un errore! Perché il testo inizia con «Il Signore ha detto»? I versetti che seguono non sembrano affatto parole pronunciate da Dio:

«I miei occhi grondano lacrime
notte e giorno, senza cessare,
perché da grande calamità
è stata colpita la vergine,
figlia del mio popolo…»

Allora sono andato a prendere la Bibbia per controllare, ma – in effetti – ricostruendo il testo nella sua concatenazione logica (mettendo assieme il versetto 11 e il versetto 17a), il passo che ci propone la Liturgia di oggi è introdotto proprio così:

11 Il Signore mi ha detto:…

17a Tu riferirai questa parola:

Sono dunque parole del Signore? È proprio Dio che versa lacrime a profusione sul dolore del Suo popolo?

Dio si pente del male fatto?

Ma che senso ha? Il popolo è conciato così per una tremenda siccità mandata proprio dal Signore come punizione per la sua iniqua condotta!

Dio «piange sul latte versato»? Prima fa il male e poi se ne pente?

Infatti, all’inizio del capitolo c’è scritto:

Parola rivolta dal Signore a Geremia in occasione della siccità.

Giuda è in lutto…
il gemito di Gerusalemme sale al cielo.
I suoi nobili mandano i servi in cerca d’acqua;
si recano ai pozzi,
ma non ne trovano,
e tornano con i recipienti vuoti…
Il terreno è screpolato,
perché non cade pioggia nel paese…

Così dice il Signore riguardo a questo popolo: «A loro piace fare i vagabondi, non stanno attenti ai loro passi». Ma il Signore non li gradisce; ora ricorda la loro iniquità, chiede conto dei loro peccati (cfr Ger 14,1-12).

Tradotto: il popolo sta soffrendo un flagello mandato da Dio per far scontare loro il prezzo delle loro iniquità e dei loro peccati.

In più, quasi non fosse pago della punizione, intima perfino al Suo profeta di non intercedere in favore del popolo:

Il Signore mi ha detto: «Non pregare per questo popolo, per il suo benessere. Anche se digiuneranno, non ascolterò la loro supplica; se offriranno olocausti e sacrifici, non li gradirò, ma li distruggerò con la spada, la fame e la peste» (Ger 14,11-12).

Spiegami, perché non capisco

È davvero difficile capire questo testo… rischia di scandalizzarci, anziché far crescere la nostra fede. Con che Dio abbiamo a che fare?! È un mostro!

Nei giorni passati, commentando i testi dei Profeti, ho più volte ribadito che dobbiamo sempre tenere a mente che la Bibbia è Parola di Dio scritta da uomini e perciò non dobbiamo prenderla letteralmente, perché spesso attribuisce a Dio caratteri troppo umani (gelosia, rabbia, vendetta, etc.).

Resta, però, il fatto che Dio è padrone del cielo e della terra, e quindi anche le piogge sono nelle Sue mani, come dice la finale del brano:

Fra gli idoli vani delle nazioni c’è qualcuno che può far piovere?
Forse che i cieli da sé mandano rovesci?
Non sei piuttosto tu, Signore, nostro Dio?
In te noi speriamo,
perché tu hai fatto tutto questo.

Allora mi chiedo: cosa dobbiamo fare in frangenti come quello che stiamo vivendo pure noi, di una tremenda siccità che sta mettendo tutti in ginocchio?

Dobbiamo seguire quei vescovi che rispolverano le Rogazioni e le Missae ad petendam pluviam o ascoltare quei preti “moderni” che dicono:

tanto più faccio fatica pensare la preghiera come l’invocazione ad esempio della pioggia, in questo drammatico momento di siccità. Mi pare rito tribale, e poi mi fa sorgere una domanda: se un dio lassù in alto e un po’ capriccioso concedesse alla fine anche l’acqua, perché avrebbe avuto bisogno d’essere invocato per donarla?

(Paolo Scquizzato, Omelia per la XVII domenica Tempo Ordinario. Anno C. 21 luglio 2022)

Nessuna pretesa

Non lo so… io preferisco tacere, rimanere in silenzio davanti al mistero infinito di Dio, e – tutt’al più – balbettare quello «spiegami, Signore…», ma uno «spiegami» detto con umiltà, non con la pretesa di avere una spiegazione a tutti i costi.

Perché so che – se osassi pretendere una spiegazione – Dio mi “mitraglierebbe” di altrettante domande, come quelle fatte a Giobbe:

«Chi è mai costui che oscura il mio piano
con discorsi da ignorante?
Cingiti i fianchi come un prode:
io t’interrogherò e tu mi istruirai!
Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri?
Dimmelo, se sei tanto intelligente!
Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai,
o chi ha teso su di essa la corda per misurare?
Dove sono fissate le sue basi
o chi ha posto la sua pietra angolare…?

Il censore vuole ancora contendere con l’Onnipotente?
L’accusatore di Dio risponda!» (cfr Gb 38,1 – 40,2)

E anche io – come Giobbe – potrei replicare solamente:

«Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere?
Mi metto la mano sulla bocca.
Ho parlato una volta, ma non replicherò,
due volte ho parlato, ma non continuerò» (Gb 40,3-5).

L’umiltà e il silenzio

Davanti alla stranezza e al mistero degli occhi di Dio che «grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stato colpito il Suo popolo», non posso che rimanere umile e silenzioso, e cercare di immedesimarmi nel cuore di questo Padre che soffre tremendamente dei dolori che ci auto-infliggiamo.

Ancora una volta credo che Dio vorrebbe intervenire per risollevarci dalla nostra sofferenza, ma non può, perché l’unico modo sarebbe quello di infrangere la legge della libertà che ha consegnato nelle nostre mani.

Come il padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32), Dio spesso non può far altro che guardarci sconsolato mentre ce ne andiamo di casa sbattendo la porta come il figlio prodigo, e inondare il mondo di lacrime per il dolore al pensiero terrificante che forse non torneremo mai più da Lui…

Perciò, ci ho ripensato:

Signore, non voglio più che mi spieghi il perché delle Tue lacrime,

perché non saprei reggere il peso e la tragedia della spiegazione,

del dolore immenso che Tu porti nel cuore,

e che noi stessi Ti causiamo ogni giorno!