La Chiesa del Risorto. 2ª Domenica di Pasqua (B)
La Chiesa primitiva descritta dagli Atti non è una cartolina dei bei ricordi, ma l’archetipo di ogni comunità che si voglia dire cristiana.
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La Chiesa primitiva descritta dagli Atti non è una cartolina dei bei ricordi, ma l’archetipo di ogni comunità che si voglia dire cristiana.
Perché le nostre celebrazioni siano sincere e gioiose, devono continuare nella vita di tutti i giorni, portando fuori la comunione celebrata nella Liturgia.
L’unione è virtù divina; la divisione è opera del demonio. Se vogliamo «stare in piedi», l’unione, la solidarietà e la coesione devono essere il nostro stile.
Nell’Epifania il Signore si mostra come il Dio di tutti i popoli, non di qualcuno a esclusione di qualcun altro. È ora che la smettiamo di dire «il nostro Dio».
Per rimanere uniti al Padre e al Figlio occorre che noi permettiamo a Dio di rimanere in noi, che lo accogliamo e gli facciamo spazio ogni giorno dentro di noi.
L’evangelista (e ogni discepolo) è uno che dà testimonianza della propria esperienza del Risorto, e lo annuncia in vista della comunione e della gioia piena.
Davanti alle tragedie un cristiano non può essere indifferente o partigiano, dividere il mondo tra “noi” e gli “altri”, perché «siamo membra gli uni degli altri».
La città che ha in mente Dio è senza mura, perché tutte le nazioni e tutti i popoli sono chiamati a diventare Suo popolo. Abbattiamo le mura e innalziamo ponti!
La casa del Signore in rovina è il simbolo di una comunità sgretolata a causa dei nostri egoismi, che ci fanno inesorabilmente perdere il gusto della vita.
In un mondo di individualisti, indifferenti e menefreghisti, il cristiano è chiamato a prendersi a cuore tutti: ogni fratello, a partire dai più lontani.