Sento compassione
Anche noi cristiani, ormai, malati di indifferenza, abbiamo disimparato la compassione. Che il Signore ci re-insegni a piangere per i nostri fratelli.
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Anche noi cristiani, ormai, malati di indifferenza, abbiamo disimparato la compassione. Che il Signore ci re-insegni a piangere per i nostri fratelli.
Il comandamento sempre antico e sempre nuovo non è una cosa da praticare una tantum, ma in continuazione: occorre rimanere nell’amore.
Il biglietto di Paolo a Filemone, in realtà, è destinato a ciascuno di noi: tutti dobbiamo imparare a vivere solo come figli di Dio e fratelli in Cristo Gesù.
Stare oziosi non è solo poltrire e sprecare il tempo, ma segno di poca fiducia nel Signore e incapacità di attenderlo operosamente nella carità.
Non possiamo pretendere di pregare e ottenere “miracoli” se prima non confessiamo sinceramente le nostre colpe e non ci riconciliamo coi fratelli.
Non basta il buon senso per essere buoni discepoli e apostoli coraggiosi: occorre la docilità del cuore alla voce dello Spirito del Signore che ci guida.
La Chiesa primitiva descritta dagli Atti non è una cartolina dei bei ricordi, ma l’archetipo di ogni comunità che si voglia dire cristiana.
Se preghiamo solo per qualcuno e non per tutti (soprattutto chi ha le responsabilità più alte), non stiamo pregando veramente, non stiamo parlando con Dio.
In un mondo di individualisti, indifferenti e menefreghisti, il cristiano è chiamato a prendersi a cuore tutti: ogni fratello, a partire dai più lontani.
Questa memoria liturgica ci fa festeggiare l’amicizia più sincera. L’affetto di Gesù per i tre fratelli di Betania sia un modello anche per le nostre amicizie.