Schiavi del peccato o liberi servitori della giustizia?
Paolo usa l’immagine forte della schiavitù nei confronti della giustizia: è un’iperbole per descrivere l’obbedienza totale alla legge dell’Amore di Dio.
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Paolo usa l’immagine forte della schiavitù nei confronti della giustizia: è un’iperbole per descrivere l’obbedienza totale alla legge dell’Amore di Dio.
Il profeta, oltre ad aiutare il popolo a riconoscere le proprie infedeltà, sa infondere coraggio nella salvezza che viene da Dio quando ci si pente sinceramente.
Grazie al cielo – a differenza di quanto avviene in natura – la sproporzione tra l’Amore di Dio e il nostro cercare di corrispondervi è, e rimarrà, incolmabile.
C’è poco da esaltarsi, perché la Croce è divenuta gloriosa solamente per l’umiliazione di Dio nel Suo Figlio: questo è per noi motivo di intima confusione.
Ai patimenti di Cristo non manca nulla: semmai è alla nostro cammino di fede che manca ancora tanto per portare a compimento la nostra configurazione a Cristo.
Attraversare il mare del nostro cuore è un cammino necessario, e bisogna toccare il fondo, sentire il puzzo del nostro peccato per iniziare una vera conversione.
L’atteggiamento dei pastori dopo l’annuncio dell’angelo è l’invito che la Liturgia fa a ciascuno di noi: occorre «andare senza indugio» a incontrare il Signore.
Il Regno di Dio non è di questo mondo, perché Cristo non è venuto a salvare se stesso, ma a dare la Sua vita per la salvezza di tutti: per Dio regnare è servire.
Saper dire «grazie» è sempre più raro in un mondo basato sullo schema dei diritti e dei doveri. Perciò ci è sempre più difficile credere, sperare e amare.
La porta del Regno è Gesù, e non è “stretta” a causa del Suo essere esigente con noi, ma del nostro “ingrassare” nell’orgoglio e nella supponenza.