Te l’avevo detto

Cosa ti avevo detto?
Omelia per giovedì 27 giugno 2024

Quante volte il Signore ci ha detto, in un modo o nell’altro, che la nostra testardaggine ci porterà a farci male? Anche la Scrittura ci aiuta a riflettere.

Letture: 2Re 24,8-17; Sal 78 (79); Mt 7,21-29

Il brano del Secondo Libro dei Re che il Lezionario ci propone come Prima Lettura narra l’insignificante regno di Ioiachìn: durò solo tre mesi, ma gli furono sufficienti per

fare ciò che è male agli occhi del Signore, come aveva fatto suo padre.

Deportazione

L’inesperto diciottenne pensava che il re di Babilonia, Nabucodònosor, l’avrebbe lasciato in pace (avendo già catturato suo padre Ioiakìm), ma non fu così, e non poté far altro che consegnarsi prigioniero assieme a sua madre, i suoi ministri, i suoi comandanti e i suoi cortigiani.

È la prima deportazione di Israele a Babilonia, avvenuta attorno al 598 a.C.

Leggere con fede

Al di là del racconto di cronaca della storia di Israele, che può essere letto come il paradigma di tante altre simili vicende dolorose che hanno segnato la storia di tanti popoli della terra, prima e dopo di allora, è sempre importante ricordare che stiamo ascoltando la Parola di Dio; perciò, siamo invitati a leggere ogni cosa con uno sguardo credente.

Fermandosi a una lettura semplicemente umana, è facile indignarsi o provare disgusto verso i prepotenti del mondo (impersonati qui da Nabucodònosor e dai Babilonesi), ma l’autore sacro ci invita a leggere e interpretare il contesto e le cause di tutto ciò che avviene.

Cosa ti avevo detto?

A tal proposito, una frase è emblematica in questo testo:

il re di Babilonia lo fece prigioniero… come aveva detto il Signore.

Quando, come e cosa aveva detto il Signore?

L’autore si riferisce a quanto aveva narrato nelle pagine precedenti:

Isaia disse a Ezechia: «Ascolta la parola del Signore: “Ecco, verranno giorni nei quali tutto ciò che si trova nella tua reggia… verrà portato a Babilonia; non resterà nulla… Prenderanno i figli… per farne eunuchi nella reggia di Babilonia”» (cfr 2Re 20,12-19; ).

Più volte il Signore aveva provato a mettere in guardia che la malvagità dei regnanti e del popolo avrebbe avuto delle conseguenze, ma ogni volta non era stato ascoltato (cfr 2Re 21,9-15; 2Re 24,1-4).

È la dinamica educativa che sperimentano spesso i genitori, che – dopo aver tentato invano di mettere in guardia i propri figli dai pericoli e dalle conseguenze delle loro scelte sciagurate – non possono far altro che dire, desolati, «te l’avevo detto».

Non è una punizione

A questo punto, torno a chiarire quello che ripeto fino alla nausea: la deportazione a Babilonia (come tutte le altre sciagure capitate al popolo di Israele) non è una punizione di Dio, a mo’ di ripicca.

Dio non è come noi: di fronte al nostro rifiuto non ci punisce e non si vendica, ma “cede il passo”, tirandosi in disparte, come noi spesso e volentieri ci ostiniamo a dirgli con le scelte concrete della nostra vita (che non sono altro che una dichiarazione di indipendenza da Lui e una richiesta di lasciarci “in pace”).

Cosa possiamo imparare?

Ciò che possiamo imparare dal leggere anche la nostra storia con lo stesso sguardo ispirato, è che le sofferenze e le ingiustizie che si abbattono sulla nostra vita non sono una punizione divina, ma sono senz’altro un’occasione per riflettere sulla nostra ostinazione e per tornare sui nostri passi, ri-affidandoci a quel Dio che, invece, continuiamo ad estromettere e scacciare dal nostro quotidiano.