Tengo io forse il posto di Dio?

Mettersi al posto di Dio

La domanda che Giuseppe rivolge ai fratelli dovrebbe essere il nostro esame di coscienza quotidiano, quando ci mettiamo al posto di Dio nel giudicare gli altri.

Omelia per sabato 15 luglio 2023

Letture: Gen 49,29-33; 50,15-26; Sal 104 (105); Mt 10,24-33

Quella di oggi è l’ultima pagina della Genesi che il Lezionario ci fa ascoltare, e fa da anello di congiunzione e avvio della storia dell’Esodo che cominceremo a leggere lunedì prossimo.

Accogliere la morte

Il brano si apre e si chiude con le raccomandazioni che Giacobbe e poi Giuseppe fanno ai loro discendenti riguardo alla loro morte. Non è un argomento macabro, anzi: esprime un grande abbandono in Dio.

Anche se in questa fase dell’Antico Testamento non compare ancora una chiara idea dell’aldilà e della risurrezione, c’è un senso di compimento e di pace nell’accogliere la morte:

«Io sto per essere riunito ai miei antenati…»

Quasi a dire: «ho compiuto il mio dovere; ho ascoltato la voce del Signore e gli ho obbedito, seguendo la strada cominciata dai miei padri. Ora posso riposare tranquillo».

Che bello se anche noi potessimo affrontare la morte così!

In Giuseppe, poi, c’è anche una fede che sa guardare avanti, al di là della propria vita:

«Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa terra, verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe… Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa».

Disposizioni cimiteriali

Il desiderio di Giacobbe (Israele) è di essere riunito ai suoi nonni Abramo e Sara, ai suoi genitori Isacco e Rebecca, alla sua prima moglie Lia, in quel primo fazzoletto di terra acquistato da Abramo presso gli Ittiti (cfr Gen 23): ancora una volta il legame con la terra promessa e donata da Dio, oltre che con i propri affetti, è un punto fondamentale.

Il dono prezioso del corpo

La cura per una degna sepoltura non è una cosa banale: esprime un segno di rispetto sacrale verso la vita, anche quando essa è terminata, e verso quel dono così prezioso che è il corpo, veicolo di tutti i nostri affetti e sentimenti.

Quanto danno sta facendo la cultura contemporanea su questo tema! E non solo con la “cremazione facile”, ma soprattutto con la tremenda abitudine di conservare le ceneri in casa o addirittura di disperderle!

(Questa specie di conversione alle mode orientali, a mio avviso, oltre a denotare la perdita di rispetto per la sacralità della persona umana, nasconde un bieco e velato modo di risparmiare sulle concessioni cimiteriali).

E pensare che nei primi secoli dell’era cristiana si faceva a gara per farsi seppellire il più vicino possibile alle tombe dei santi e dei martiri, per “attaccarsi alle loro caviglie” quando il Signore li avrebbe chiamati nel gran giorno della Risurrezione finale!

Il legame con la propria terra

L’importanza del legame con la terra, poi, è altrettanto fondamentale: essa è il segno tangibile del realizzarsi delle promesse divine, ma anche il luogo concreto dove Dio ti ha condotto tenendoti per mano, dove sono avvenuti gli incontri decisivi della tua esistenza, dove è nata la tua vocazione.

Io stesso ho lasciato scritto nel mio testamento che desidero essere sepolto nel camposanto del mio paese d’origine, dove riposano i miei nonni che mi hanno educato alla fede, dove riposano tanti altri sacerdoti che hanno dato lustro di santità alla mia terra e mi hanno ispirato la vocazione al sacerdozio.

La fatica di comprendere la misericordia

Il tema centrale di questo brano, però, è la bugia inventata dai fratelli di Giuseppe dopo la morte del padre per paura di essere trattati da nemici dal fratello che avevano cercato di uccidere e poi venduto come schiavo.

Davanti a questo comportamento Giuseppe, ancora una volta piange, stavolta di amarezza: i suoi fratelli non hanno compreso tutto il bene che prova per loro nonostante il male che gli hanno fatto.

D’altronde è davvero difficile per noi, così cattivi, capire la misericordia e il perdono: non li capiamo in Dio, e tantomeno riteniamo possibile che ne sia capace un essere umano.

Tengo io forse il posto di Dio?

La domanda di Giuseppe è fortissima, perché sottolinea qualcosa che l’uomo dimentica sempre: nessuno può mettersi al posto di Dio!

Nessuno può giudicare, nessuno può salvare o condannare se non Dio, come ci ricorda in modo perentorio l’apostolo Giacomo:

Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo? (Gc 4,12).

Quante volte, invece, noi ci sediamo sul trono dell’Onnipotente, mettendoci al posto di Dio, emettendo sentenze definitive e senza appello verso i nostri fratelli, o mandando a Dio consigli non troppo velati su come Egli debba decidere e disporre della sorte degli altri…

#appuntalaparola

«Tengo io forse il posto di Dio?»: segniamocela come ennesima “Parola da appuntare”, ennesimo hashtag o Post-it, da usare ogni volta che ci viene la tentazione di giudicare, di condannare i nostri fratelli!

Un’immagine distorta di Dio

Allo stesso tempo, Giuseppe dice ai fratelli che l’idea di Dio che portano nel cuore è profondamente sbagliata, perché il Signore non è un vendicatore che se la lega al dito, ma un Padre buono che è capace di servirsi anche delle cattiverie e delle malvagità umane per portare avanti il Suo disegno di salvezza:

«Se voi avevate tramato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene, per compiere quello che oggi si avvera: far vivere un popolo numeroso».

Torna, per l’ennesima volta, il tema che abbiamo meditato già più volte ascoltando le storie dei nostri Patriarchi: Dio, e solo Lui, sa trasformare il male in bene.

Opere di misericordia spirituale

«Dunque non temete, io provvederò al sostentamento per voi e per i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore.

Che immagine stupenda! Che figura esemplare quella di Giuseppe!

Qui sì che Giuseppe si mette «al posto di Dio»: nel senso che si fa tramite e strumento della misericordia e della benevolenza divina.

Sul brano ascoltato oggi vi consiglio la lettura di tre paginette del bellissimo libro di don Fabio Rosini sulle Opere di misericordia spirituale (Fabio Rosini, Solo l’amore crea. Le opere di misericordia spirituali, San Paolo 2016, pp. 154-156).