Ti tengo per mano, non temere
Dio non deride la nostra fragilità, ma ci dice «Non temere, io ti vengo in aiuto». Ci prende per mano e ci dà tutto quanto è necessario per rimetterci in pista.
Omelia per giovedì 14 dicembre 2023
Letture: Is 41,13-20; Sal 144 (145); Mt 11,11-15
Non so a voi, ma a me i vermi e le larve fanno impressione (per non dire che mi fanno schifo).
Eppure l’espressione «mi sento un verme» si usa di frequente anche tra noi umani, la cui razza si pone sullo “scalino” eccelso del regno animale (e, dunque, ha qualcosa in comune anche con gli invertebrati).
L’uomo si sente un verme
È un’espressione forte, ma anche la Scrittura vi fa ricorso. Nel libro di Giobbe, per esempio, Bildad di Suach dice:
«Come può essere giusto un uomo davanti a Dio…?
…l’uomo, che è un verme,
l’essere umano, che è una larva» (cfr Gb 25).
E – udite udite – anche Gesù ha usato questa espressione, addirittura per pregare, se è vero (come pare) che fin sulla croce pregò il Salmo 22, che inizia col celeberrimo «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», ma al versetto 7 dice proprio così:
Ma io sono un verme e non un uomo,
rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente.
Il gioco preferito dei potenti
Al giorno d’oggi, di fronte a tutte le pretese del mondo, è un attimo sentirsi un verme (o essere considerato tale): il gioco preferito degli uomini è innalzarsi sopra i propri simili e, se non c’è modo di farlo accampando meriti propri, si ricorre al far sentire gli altri dei vermi, delle nullità.
Pessimismo e disfattismo
Il resto ce lo mettiamo da soli, quando la nostra fragilità, le nostre difficoltà, i nostri stessi peccati ci avviliscono e ci sentiamo profondamente scontenti o, per la poca stima che abbiamo di noi stessi, ci isoliamo e ci scoraggiamo.
Troppo sovente ce lo diciamo da soli: «sei un verme!», non con umiltà, ma demoralizzandoci.
Invece Dio ci tiene per mano
Ma quando è Dio che chiama “vermiciattolo” e “larva” il suo popolo (nel brano di Isaia che ascoltiamo oggi alla prima lettura) non lo fa per offenderci o scoraggiarci, ma per dirci che desidera venire incontro alla nostra debolezza.
L’occhio di Dio non si ferma alle apparenze e guarda con pietà e misericordia le nostre fragilità e la nostra miseria.
Siamo nulla senza di Lui, senza di Lui corriamo il rischio di disanimarci e disperarci, perciò ci dice «Non temere, io ti vengo in aiuto», e ci prende per mano.
Come dicevo ieri, il Dio che ci viene in aiuto, lo fa non dall’alto, con potenza e segni mirabolanti, ma “dal basso”, facendosi piccolo con noi e come noi.
Dio ci ridà senso
È davvero interessante il modo di Dio di venire in aiuto al nostro senso di inadeguatezza che ci fa marcire il cuore e ci fa sentire dei vermi:
Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova,
munita di molte punte...Tu… gioirai nel Signore.
Se si lavora con una trebbia che ha perso le punte non si combina niente… Con questa immagine il Signore vuole dirci:
«Io darò un nuovo senso alla tua vita. Ti sentivi inutile, incapace? Fidati di me che sono creatore e ricreatore: ti darò di nuovo senso! Ti hanno deluso? Non temere: io posso guarire la tua delusione, ti ridarò la gioia di vivere!»
Il più piccolo e il più grande
Prendendoci per mano così, il Signore ricostruisce in noi la giusta immagine, costruita non sullo scoraggiamento e la depressione, ma sulla vera umiltà: siamo vermiciattoli ma Lui ci tiene per mano come figli amati.
Ecco perché – nel Vangelo – Gesù fa il paragone tra il Battista (che è il più grande tra i nati di donna) e il più piccolo nel regno dei cieli: l’ordine di grandezza non è stabilito dalle gerarchie umane, ma dalla disponibilità a lasciarsi prendere per mano umilmente dal Signore, nonostante la propria fragilità.