Tutt’altra pasta. 20ª Domenica del Tempo Ordinario (C)
La pace che Gesù vuole donarci è di tutt’altra pasta rispetto alla nostra. Non è “quieto vivere” e compromessi ma purificazione del nostro cuore da ogni falsità
Letture: Ger 38,4-6.8-10; Sal 39 (40); Eb 12,1-4; Lc 12,49-53
Ma Gesù non era quello che diceva: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace»? (Gv 14,27)
E perché oggi viene a dirci: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione»?
Gesù non si contraddice, mai, perché Lui è la Verità.
E infatti, nel versetto del vangelo di Giovanni citato all’inizio sul dono della pace, prosegue specificando subito: «Non come la dà il mondo, io la do a voi».
Quella di Gesù è un altro tipo di pace rispetto a quella che immaginiamo noi.
La nostra “pace”…
Noi usiamo la parola “pace” un po’ ovunque. E spesso a sproposito.
Un esempio, tutto nostro di buoni cristiani? Quando – nelle nostre preconfezionate “preghiere dei fedeli” – chiediamo «la pace nel mondo», e intanto coviamo nel cuore gelosie, invidie, odio, pensieri cattivi (e certo non di pace) non tanto per i nemici, ma per i nostri parenti e vicini di casa.
Ha senso parlare di pace? Chiedere la pace?
È un’ipocrisia gigantesca!
E quando diciamo che per conservare la pace abbiamo dovuto dire una bugia? O stare zitti? O fare finta di niente?
Non è pace quella! È “quieto vivere”… è «vivi e lascia vivere» (che – detto tra noi – è uno dei proverbi che detesto di più).
Una pace di tutt’altra pasta
Quella di Gesù è un’altra pace.
È una pace che si conquista solo perché prima passa attraverso la crisi (intesa nel senso etimologico della parola, che significa – appunto – “discernimento”).
Gesù non era uno che le cose le mandava a dire.
Non era un indifferente.
Quante volte a scribi, farisei e dottori della legge ha detto in faccia: «Voi siete in grave errore» (Mc 12,27)?
E – facendo così – si è attirato addosso l’odio e la persecuzione da parte di chi contava nella società religiosa ebraica del suo tempo.
Il suo modo di cercare la pace, facendo distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tra peccato e grazia, gli ha servito su un piatto d’argento la Croce, come già era successo a Giovanni Battista per aver parlato sempre chiaro con Erode.
Come è successo a Geremia, delle cui sventure (a causa della sua chiarezza e sincerità) ascoltiamo una piccola parte nella prima lettura di oggi.
La vera pace è scomoda
I profeti sono scomodi perché dicono la verità e vanno contro le mode facili e contro le attese sbagliate della gente. Per questo chi dice la verità è condannato a soffrire.
Nella prima lettura i capi del popolo dicono al re:
«Si metta a morte Geremia, perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo».
Era vero? Assolutamente no! Geremia aveva detto la verità, rimproverando la vita immorale del popolo.
Oggi è la stessa cosa: proviamo a dire la verità, a parlare secondo il vangelo: vi assicuro che ci faremo molti nemici.
Perché? Perché oggi (come in ogni epoca storica) va di moda la menzogna.
Le persone non vogliono sentirsi dire la verità, ma quello che a loro piace e fa comodo.
Viviamo in un mondo dove i giornali invece di fare cronaca scrivono ciò che orienta l’opinione e quello che interessa diffondere ai facoltosi editori che li finanziano: un mondo fatto fake news, di apparenze e ipocrisie.
Se vogliamo vivere da cristiani autentici, dobbiamo seguire le orme di Cristo, anche in questo.
Pace sì, ma non “ad ogni costo”
Certo che il cristiano è l’uomo della pace, del perdono, della misericordia, della comprensione… La stima e l’amicizia tra le persone è una cosa bella… ma non ad ogni costo!
Se una persona sbaglia, dobbiamo farle capire che sta sbagliando (in modo caritatevole e fraterno), e non far finta di nulla o – peggio – assecondarla nel suo errore.
Siamo capaci di farlo? Ne abbiamo il coraggio?
Piuttosto di una pace falsa…
Nel brano evangelico di oggi, Gesù dice di esser venuto a portare «divisione».
Sono parole da intendere bene.
Gesù desidera o auspica litigi in famiglia?
No di certo!
Ma se conservare la pace vuol dire tacere per “quieto vivere”, anche in famiglia, piuttosto allora è meglio una sana litigata.
Meglio essere sinceri!
Quante volte mi sento dire in confessione da parte di sante mamme cristiane: «ho perso la Santa Messa domenica scorsa perché sono venuti i miei figli a mangiare, si sono fermati fino a tardi, e non osavo mandarli via»?
E io rispondo sempre: bene essere accoglienti coi propri figli (magari le pochissime volte che vengono a trovarvi), ma quando il dovere cristiano chiama (che poi non è solo un dovere o un precetto, ma la nostra vita!), è bene dire ai figli: «state pure qui, voi, ci vediamo più tardi. Io ora ho un appuntamento importante col Signore e la mia Comunità cristiana».
Nei primi secoli, per davvero, essere cristiani portava a divisioni insanabili: figli che denunciavano pubblicamente all’autorità romana i genitori che si erano convertiti al cristianesimo (o viceversa), tanto da farli mandare a morte!
E noi, oggi, per “quieto vivere”, abbiamo paura a riprendere un parente (non un estraneo)?
Che bestemmia!
La pace nasce dalla conversione
Gesù ha predicato la pace intesa non come il frutto di un compromesso o del silenzio, ma come frutto di una vera e radicale conversione alla verità.
Spesso fra noi si creano divisioni per motivi futili ed esclusivamente umani: orgoglio, gelosia, superbia, arroganza, rivalità etc. Anche all’interno delle nostre Comunità, per svariati motivi, non certamente cristiani o dovuti alla ricerca della Verità.
Queste divisioni non sono nel disegno di Dio, e devono sempre essere ricomposte, ritrovando la pace dentro e fuori di noi.
Quello che deve muovere la nostra ricerca di pace è una ricerca anzitutto di verità, senza facili compromessi. Una pace che orienta e converte il cuore.
Un fuoco che brucia dentro
È questo il senso della frase
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!»
Per tutta la sua vita Gesù ha cercato di accendere sulla terra il fuoco del Regno di Dio, e lo ha fatto ardendo egli stesso della Sua passione d’amore per Dio e per gli uomini. Ed è questa passione ardente che lo ha consumato, fino alla fine, fin sulla Croce.
È in questa stessa prospettiva (che presagisce una morte violenta, come mezzo supremo per l’offerta che farà di se stesso) che Gesù evoca l’immagine del battesimo (parola che in greco significa “immersione”):
«Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!»
Noi discepoli come il nostro Maestro
Seguendo Lui, anche i suoi discepoli, nel corso della storia hanno conosciuto quest’ora, questo “battesimo”, come egli ha loro preannunciato (cfr Mc 10,38): essi non dovranno stupirsi dell’incendio di persecuzione che si accenderà contro di loro, ma dovranno rallegrarsene, certi di partecipare in questo modo alla stessa sorte del loro Signore (cfr 1Pt 4,12-16).
I primi cristiani vissero il fuoco della fede e, con le parole e la vita, crearono crisi e conversione in coloro che li vedevano e ascoltavano.
Per restare fedeli al vangelo affrontarono ogni persecuzione, credendo che chi perde la vita per il Signore, la salva per l’eternità.
La vita di fede è un cammino, a volte faticoso, una corsa, ma non dobbiamo scoraggiarci.
Come ci invita la seconda lettura di oggi:
«Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio».
Chiediamo al Signore che ci faccia ardere il cuore davanti al Suo esempio, a quello di tanti testimoni della fede, ci aiuti a comprendere ciò che è un peso nella nostra vita e a deporlo, ci sostenga nei momenti di prova e di tentazione.