Tutti giù per terra! 14ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Casca la terra... tutti giù per terra!

L’umiltà è una qualità apprezzata… negli altri. A noi risulta difficile umiliarci, avvicinarci alla terra. Ma è quello che ha fatto Gesù, incarnandosi.

Letture: Zc 9,9-10; Sal 144 (145); Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30

Chi mai potrebbe dire «io sono umile» senza cadere in superbia? Come quel tale famoso che diceva «sono umile e me ne vanto», sarebbe immediatamente additato come un borioso insolente.

Solo Dio può dire la Sua umiltà.

E non tanto perché a Dio non si può ribattere né fare osservazioni, ma perché – se è vero che l’umiltà è l’atteggiamento di chi si abbassa – nessun altro si è abbassato tanto quanto Dio:

«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce»
(cfr Fil 2,5-11).

L’umile per eccellenza

L’ho già ricordato altre volte: “umiltà” (come anche “uomo”) è un vocabolo che in latino è strettamente imparentato alla terra (humus)…

Ecco: Dio – l’Essere perfetto e onnipotente, che vive nel più alto dei cieli – si è abbassato, è sceso sulla terra «a condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana» (cfr Messale Romano, Prefazio delle domeniche del Tempo Ordinario VII).

Quindi, se c’è un esempio di umiltà, questo è proprio Gesù. Lui lo può dire.

Una qualità apprezzata

A chi non piacciono le persone umili? È bello aver a che fare con loro: non fanno soggezione, mettono a proprio agio i loro interlocutori, sono disposte ad ascoltare…

L’umiltà è una virtù apprezzata… negli altri. Molto più difficile è desiderare l’umiltà per se stessi, perché – al primo dispetto – reagiamo con durezza, giustificandoci che «non bisogna farsi mettere i piedi in testa».

L’umiltà non è questione di carattere, di portamento, di sensibilità… è una virtù e – in quanto tale – è un dono di Dio, da chiedere con insistenza e coltivare giorno per giorno.

Una virtù utile e necessaria

Perché Gesù ci chiede di imparare l’umiltà?

Non certo per diventare le persone “piacevoli” e apprezzate da tutti di cui dicevo poco sopra: non è un insegnamento di galateo quello che ci propone il nostro Maestro.

L’umiltà è una virtù non solo utile, ma necessaria: essa è la condizione fondamentale per conoscere Dio.

Lo capiamo dall’incipit del vangelo di oggi:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli».

Non dobbiamo fare l’errore di leggere in modo letterale questa frase, interpretandola come una scelta parziale di un Dio che fa preferenze: Dio si rivela a tutti e non si nasconde a nessuno, Lui che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45).

Ma non lo fa imponendosi prepotentemente, nel modo spettacolare e glorioso che spesso noi immaginiamo o desideriamo.

Egli si manifesta nei modi e nelle cose più semplici e quotidiane (cose che noi diamo per scontate), come una bella giornata di sole, o un cielo stellato… È solo il piccolo, il semplice, l’umile, che di fronte a quell’immenso spettacolo sa esprimersi così:

«O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?»
(Sal 8,2.4-5).

È l’atteggiamento dello stupore sincero, della meraviglia riconoscente che nasce dal cuore, che dietro la Creazione sa scorgere il Suo Creatore.

Un peso… leggero

Dicevo prima che quello dell’umiltà è un cammino impegnativo, tant’è che, invitandoci ad apprenderla da Lui, Gesù ci chiede: «Prendete il mio giogo sopra di voi».

Nell’Antico Testamento il giogo richiamava in modo allegorico il “peso” della Legge di Dio, da prendere su di sé con disponibilità, nell’obbedienza (ricordiamo che stiamo leggendo il vangelo di Matteo, in cui Gesù si presenta come il nuovo Mosè, venuto non ad abolire la Legge, ma a portarla a compimento).

Ci può sembrare un compito non alla nostra portata, ma Gesù ci incoraggia subito:

«Il mio giogo è dolce e il mio peso leggero».

Perché quello di Gesù è un giogo dolce con un carico leggero?

 «Portate gli uni i pesi degli altri» (Gal 6,2)

Il giogo: portare i pesi gli uni degli altri

Il giogo – normalmente – viene imposto a due animali, non ad uno solo. Richiamandosi a questo fatto nasce anche la parola “coniugi”, ovvero: coloro che portano lo stesso giogo, la stessa sorte, che condividono gli stessi pesi, gli stessi impegni, ma anche le stesse gioie.

Non è forse vero che – quando la si condivide – la fatica pesa meno? Una salita durissima in montagna, una “fuga” in bicicletta al Giro d’Italia, un tavolo pesante da spostare… magari chiacchierando assieme, col fiatone, per non ascoltare la propria fatica ma il compagno di viaggio.

Chiedendoci di «prendere il suo giogo», Gesù ci sta invitando a diventare suoi “coniugi”, a condividere lo stesso cammino faticoso con Lui, assicurandoci che il peso non lo porteremo mai da soli, anzi: la parte maggiore la porterà Lui (perché, quando si porta un carico, il peso maggiore ricade sempre sul più basso… e il più “basso”, il più umile è sempre Cristo).

È bello pensare il cammino della fede così, sapendo che è Lui a portare il peso maggiore.

Sotto il giogo della Croce, come il Cireneo

Sulle spalle di Gesù c’è tutto il peso dell’umanità sofferente, c’è la Croce.

Il Cireneo

E mi viene in mente una bellissima illustrazione di Sieger Köder, dove appare in modo plastico e vivido che non è il Cireneo da solo a sostituire Gesù (come sembrano dire i vangeli), ma vi è un portare assieme, ben bilanciato e condiviso, che diventa un abbraccio solidale (anzi: si vede bene che Gesù è il più basso, e la maggior parte del peso ricade su di Lui).

Solo mettendoci in questa posizione di condivisione, sotto lo stesso giogo della Croce, potremo essere compagni di viaggio del Figlio, e durante questa faticosa salita al Calvario “chiacchierare” con Lui, così che condivida con noi i misteri di Dio nascosti ai dotti e ai sapienti, perché «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».

Potremo anche cadere sotto il peso di questo giogo, ma cadremo con Lui! E con Lui ci rialzeremo.

E d’altronde, non abbiamo detto che “umiltà” è stare il più possibile attaccati alla terra?

Allora «tutti giù per terra!»