Tutti i sentimenti di Dio. Sacratissimo Cuore di Gesù (C)
I vangeli ci rivelano il cuore di Gesù, descrivendoci tutti i Suoi sentimenti. Sono i sentimenti stessi di Dio, che devono diventare anche i nostri.
Letture: Ez 34,11-16; Sal 22 (23); Rm 5,5-11; Lc 15,3-7
Nella nostra cultura moderna (fortemente debitrice del romanticismo), il cuore è la sede dei sentimenti.
Nella Bibbia, invece, il cuore rappresenta l’essere umano, la persona stessa, perché è il centro non solo dell’attività spirituale, ma di tutte le operazioni della vita umana.
In questa solennità siamo invitati a guardare il cuore di Gesù, perché in esso siamo invitati a specchiare il nostro, così da conformarlo sempre più al Suo.
Ci raccomanda – infatti – l’apostolo Paolo:
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (Fil 2,5).
Gesù ha un cuore?
La domanda che fa da titolo a questo primo paragrafo potrebbe sembrare pleonastica o retorica… ma affermare che anche Gesù «aveva un cuore» non è così scontato.
Chi di voi ha visto il film o ha letto il famosissimo romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa, si ricorderà l’ostinazione del vecchio monaco cieco Jorge di Burgos, che – citando Giovanni Crisostomo – sosteneva che Cristo non avesse mai riso.
Era una corrente filosofica e teologica diffusa.
Un’affermazione così perentoria – però – metterebbe in discussione non solo la possibilità che Gesù abbia mai riso, ma la sua stessa umanità e capacità di partecipare alla totalità dell’esperienza umana, inclusa la possibilità di sperimentare tutta la gamma degli affetti, dei sentimenti e delle emozioni.
Sì, basta leggere i vangeli!
La Chiesa sconfessa fortemente questa ipotesi.
La Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, infatti, afferma:
il Figlio di Dio […] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (GS 22).
È una convinzione che nasce dalla lettura stessa dei vangeli, che ci presentano un ritratto molto umano di Gesù, capace di gioire e di piangere, di commuoversi e di arrabbiarsi, di indignarsi e di amare, di stupirsi e di sentire angoscia.
Cuore di uomo o di Dio?
Ma dobbiamo subito chiarire una cosa e metterci in guardia da moderne semplificazioni che sottolineano troppo (e solamente) l’umanità di Gesù: quello che contempliamo nei vangeli non è solo il cuore di un uomo, ma del Figlio dell’Uomo, del Figlio di Dio, e quindi di Dio stesso.
Gesù non è solo uno dei tanti uomini illustri vissuti tanto tempo fa, ma è il Verbo incarnato, e quindi la presenza stessa di Dio, o – come afferma la lettera agli Ebrei – «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (cfr Eb 1,1-3).
Dobbiamo sempre ricordare quello che Gesù rispose a Filippo durante l’Ultima Cena:
«Chi ha visto me, ha visto il Padre… io sono nel Padre e il Padre è in me» (cfr Gv 14,8-14)
Il cuore di Gesù è – quindi – il cuore stesso di Dio! I sentimenti di Gesù sono gli stessi sentimenti di Dio.
Tutti i sentimenti di Gesù
Come dicevo sopra, i vangeli descrivono molteplici sfumature dell’animo di Gesù: egli si definisce «mite e umile di cuore» (cfr Mt 11,29), ma è anche ardente di zelo quando scaccia con veemenza i venditori dal tempio (cfr Gv 2,13-17).
Non posso certamente dedicare questa riflessione a uno studio teologico approfondito (perché non ne ho il tempo e non posso abusare così della vostra pazienza semplicemente per riflettere sulla Parola di Dio di questa solennità), ma alcuni accenni mi pare giusto farveli, per stuzzicare il vostro desiderio di scrutare le pagine evangeliche, in cerca del cuore di Gesù e di Dio.
La descrizione più vivida e più ricca di sfumature delle emozioni e degli affetti di Gesù si trova nel Vangelo di Marco (Matteo e Luca sono più sobri, ma non meno significativi).
Gesù «si muove a compassione»:
Fin dall’inizio del secondo vangelo scopriamo uno dei tratti salienti del cuore di Gesù, nel racconto della guarigione del lebbroso:
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!» (Mc 1,40-41).
Il verbo greco usato da Marco è splanchnìzomai: l’immagine veicolata da tale verbo è molto forte: infatti, esso sta a indicare il movimento delle viscere che sono scosse da qualcosa o qualcuno (nel mondo semitico le interiora dell’essere umano, le viscere e l’utero, sono considerate la sede dei sentimenti più profondi come la compassione e la misericordia).
Gesù è lunatico?
Quello che accade subito dopo tra Gesù e il lebbroso rivela – però – come il mondo delle emozioni sia complesso anche in Gesù:
Ammonendolo severamente, lo cacciò via subito (Mc 1,43).
Il verbo utilizzato assume la connotazione negativa di “minacciare”, “sbuffare”, “trattare duramente”. Perché l’atteggiamento di Gesù cambia in maniera così repentina? Cosa lo porta a una reazione così brusca, che stride con la compassione appena manifestata?
Il fatto che Gesù sappia già che la sua richiesta di non dire nulla a nessuno (cfr Mc 1,44) verrà disattesa, con conseguenze serie sul Suo ministero, dato che non potrà più entrare pubblicamente in una città a causa della Sua fama (cfr Mc 1,45).
Gesù ama
Un altro verbo molto importante è agapào, “amare”:
Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc 10,21).
Tra i Sinottici, solo Marco mette in risalto questa annotazione affettiva, facendo accedere il lettore al più intimo sguardo di Gesù.
Gesù si indigna e si rattrista
Nei vangeli troviamo anche alcune reazioni emotive di Gesù che ci interrogano, e che potremmo giudicare eccessive.
Per esempio – di fronte al silenzio di chi vorrebbe coglierlo in fallo e accusarlo per aver compiuto la guarigione di un uomo dalla mano inaridita in giorno di sabato – la reazione è complessa:
E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita» (Mc 3,5).
Si uniscono ira e tristezza verso i farisei per la loro durezza e il loro silenzio (dietro i quali si nasconde l’avversione verso di Lui).
Gesù si stupisce
Nel seguito del racconto di Marco appare anche il verbo thaumàzo, “stupirsi”.
Nella sinagoga di Nazaret – di fronte ai Suoi concittadini sbalorditi e poi scandalizzati per il suo insegnamento (cfr Mc 6,2) – Gesù «si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,6a).
Il suo essere Figlio di Dio, che conosce quello che gli altri pensano (cfr Mc 2,8), non gli impedisce di stupirsi davanti alla mancanza di fede dei Suoi compaesani, che gli impedisce di compiere prodigi nella Sua terra natale.
Gesù si spazientisce
Nei confronti dei suoi discepoli che non riescono a guarire un ragazzo epilettico, perde la pazienza:
«O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò?» (cfr Lc 9,37-42)
Gesù ha paura e angoscia
Nei sinottici c’è una pagina che offre un accesso privilegiato all’interiorità e ai sentimenti di Gesù, nel momento drammatico e cruciale della sua passione. È l’episodio del Getsemani (cfr Mt 26,36-46; Mc 14,32-42; Lc 22,40-46):
Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora (Mc 14,33-35).
Il buio che Gesù sente proietta un cono d’ombra anche all’esterno, sul lettore.
Gesù non ha paura di esprimere i propri sentimenti di turbamento davanti ai suoi discepoli.
Gesù piange
Luca ci presenta Gesù che scoppia in pianto quando vede Gerusalemme, facendo suo il lamento per il dramma che attende la città santa, che verrà assediata e distrutta:
Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa (Lc 19,41).
Gesù gioisce
Le parabole lucane della misericordia – di cui oggi nel vangelo ascoltiamo la seconda (quella della pecorella smarrita) – sono un invito, rivolto ai farisei e agli scribi, a rallegrarsi, partecipando alla gioia di Dio per ogni peccatore ritrovato:
«Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).
In un’altra occasione è Gesù stesso a esultare:
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli…» (Lc 10,21).
Tornando all’obiezioni di Jorge ne Il nome della Rosa, se non il riso di Gesù, possiamo certamente immaginare il Suo sorriso pieno di letizia nello Spirito, mentre loda il Padre per essersi rivelato ai piccoli.
Immedesimarci con Gesù
Mi fermo qui, perché – come dicevo sopra – potrei scrivere migliaia di righe ancora…
Questi pochi esempi, però, ci possono essere utili per leggere i brani proposti dalla Liturgia della Parola di questa solennità, e immaginare quei sentimenti che non sono descritti chiaramente, ma comunque sottintesi.
Anzitutto cerchiamo di metterci nei panni di quel pastore, angosciato per il timore di non trovare più la sua pecora e poi risollevato e colmo di gioia fino a traboccarne, e volerla condividere con amici e vicini, quando finalmente la ritrova.
Così è il cuore di Dio: questi sono i Suoi sentimenti nei nostri confronti, quando finalmente torniamo a Lui.
E poi – anche se questo è un po’ più difficile per il nostro cuore cattivo – proviamo ad entrare nel cuore “insensato” di Dio, che ama i peccatori fino a dare la vita per loro, come di ricorda san Paolo nella seconda lettura:
Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.