Tutto è vanità
Omelia per giovedì 26 settembre 2024
Vanità non è il mondo in se stesso, ma l’illusoria pretesa di cercare in esso la gioia e il senso della vita che, invece, stanno altrove: in Dio.
Letture: Qo 1,2-11; Sal 89 (90); Lc 9,7-9
Dopo averci proposto tre brani dal Libro dei Proverbi, il Lezionario chiude questa settimana proponendo nella Prima Lettura altrettanti brani da un altro libro sapienziale: il Qoèlet, o Ecclesiaste.
Un altro “assaggio”
Anche in questo caso, perciò, non possiamo prenderci la briga di fare una lettura completa dell’opera molto lunga (perché il Lezionario non ha questa pretesa), ma solo un “assaggio”.
La chiave di lettura
Occorre, però, dare una chiave di lettura del testo, per evitare di cadere nel tranello di leggere questi versi come uno sguardo pessimista e sfiduciato sul mondo.
Anche l’autore di questo testo, come Giobbe (che inizieremo a leggere lunedì), si pone uno dei più grandi dilemmi dell’uomo:
- che rapporto c’è tra il bene e il male?
- C’è una corrispondenza tra il comportarsi bene e lo star bene e – viceversa – tra il compiere il male e il subire sventure?
Anche qui, come sarà in Giobbe, la risposta è negativa, perché l’esperienza quotidiana contraddice questa atavica convinzione (cfr Qo 7,25-8,14).
La grande differenza tra i due testi è che Qoèlet è un uomo che gode di ottima salute, e non cerca – come Giobbe – il motivo della sofferenza ingiusta dell’innocente, ma constata l’inanità della felicità.
Vanità delle vanità
Venendo al testo che ci è donato oggi, vi troviamo due delle affermazioni più famose che hanno segnato il pensiero e la riflessione filosofica di tutti i tempi:
In epoca più recente fu la filosofia esistenzialista a rimarcare questa riflessione dell’io di fronte al mondo: l’inutilità, la precarietà, la finitudine, il fallimento, l’assurdo dell’esistere.
Non è uno sguardo pessimista
Ma, ripeto: non bisogna cadere nell’errore di leggere queste parole come affermazioni di un pessimismo greve, ma – come fa l’autore stesso – lasciarsi interrogare dal non senso che deriva dal porre tutta la propria fiducia in ciò che è effimero, illusorio e transitorio.
Il pensiero credente non si ferma a constatare la vanità delle cose materiali; esso supera questa angoscia scoprendo che il senso delle cose e della vita è riposto altrove: nel mistero eterno di Dio.
Il desiderio mai sazio
Anche nella salute e nell’abbondanza di beni, l’uomo percepisce che gli manca qualcosa:
Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è mai sazio di udire.
È riflettendo sapientemente e da credente su questa tensione irrisolvibile che sant’Agostino arrivò a capire la dinamica del desiderio umano:
Signore… ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te.3
Vanità e gioia
Pure il mio santo preferito, Filippo Neri, ha composto una sorta di poesia a partire da questo testo del Qoèlet,4 e non era certo un pessimista, anzi: era il più allegro di tutti i santi o, come scriveva il cardinal Schuster, era «era aspro e penitentissimo con se stesso… mite cogli altri, ed al bisogno, faceto».5
Da questo componimento, in modo molto sapiente, il maestro Angelo Branduardi ha tratto la bellissima canzone per la colonna sonora del film State buoni se potete (da lui composta), che vi ripropongo qui:
Vanità non è il mondo in se stesso, ma l’illusoria pretesa di cercare in esso la gioia e il senso della vita che, invece, stanno altrove: in Dio.
- Cfr la voce Vanitas vanitatum et omnia vanitas su Wikipedia. ↩︎
- Cfr la voce Nihil sub sole novum su Wikipedia. ↩︎
- Sant’Agostino, Confessioni I, 1,1. ↩︎
- Non vi riporto qui il componimento perché è troppo lungo, ma potete trovarlo su radiospada.org a questa pagina. ↩︎
- A.I. Schuster, Liber Sacramentorum, Vol. VII, Marietti 1930, p. 198. ↩︎