Un bel tacer non fu mai scritto. Una custodia alla bocca
Saper tacere (e saper parlare quando occorre) è segno di sapienza. Che il Signore ci insegni a mettere i “filtri” giusti: sulle orecchie e sulla bocca!
Chi mi conosce sa che ho una certa avversione per i proverbi popolari, perché spesso denotano una sapienza troppo “umana” (nel senso di “anti-credente”).
Un esempio? «Aiùtati che il ciel t’aiuta», oppure «l’uomo propone, Dio dispone». Sono solo due dei tanti detti che sottintendono una visione piuttosto pessimistica nei confronti della Divina Provvidenza, in cui l’uomo e Dio sembrano due contendenti, più che non un Padre e un figlio.
Ma il proverbio che ho scelto come titolo per questa riflessione credo sia particolarmente saggio e opportuno, in un mondo troppo pieno di chiacchiere e poco abituato a far silenzio.
I “cattivi maestri”
Già nei tempi “normali” le TV e gli altri mezzi di comunicazione pullulano di opinionisti e “tuttologi” che blaterano spesso a vanvera e quasi sempre con toni incivili e irrispettosi degli altri interlocutori, ma nella delicata fase sanitaria che viviamo da mesi la cosa sembra ormai alla deriva.
E se normalmente dico che la televisione è una cattiva maestra per le nostre famiglie, credo che – purtroppo – non abbia nulla da “insegnarci” riguardo al modo insulso di parlare, ma sia – invece – solo l’impietosa rappresentazione di ciò che sappiamo già fare benissimo per conto nostro.
È vero o no che abbiamo sempre qualcosa da dire, su tutto e su tutti, fosse anche solo per il semplice gusto di parlare? Pare che a qualcuno piaccia così tanto il suono della propria voce da non riuscire mai a tener la bocca chiusa.
Estranei, incompetenti o… cattivi?
Quando sarebbe meglio tacere?
- Anzitutto quando si è estranei ad una discussione: quante volte la gente si intromette in un discorso a caso, senza sapere nemmeno da dove è partito e dove voleva parare?
- Sicuramente quando non si è competenti su un argomento; infatti, se già non obbligatorio dire sempre la propria, senz’altro è buon senso tacere quando si è ignoranti («meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio» diceva Oscar Wilde).
- In massimo grado quando il parlare potrebbe essere un male: questa dovrebbe essere una legge a cui non si ammettono eccezioni, soprattutto per un cristiano. Mi riferisco al pettegolezzo e alla critica, ai giudizi gratuiti e azzardati, di cui spesso risuonano i crocicchi dei nostri paesini di montagna, o le piazze delle nostre Parrocchie.
Il primo filtro: sulle orecchie
Ogni volta che sentiamo parlare di qualcuno che non è presente al momento (sia che se ne parli bene, sia – soprattutto – quando se ne parli male) dovremmo sempre imporci un filtro mentale fatto di tre criteri:
1. Verità
È vero quello che sento dire? È sensato, credibile, verificabile?
La fonte da cui arriva la notizia è certa e attendibile? Per esempio: il «si dice in giro» è già una chiara “spia d’emergenza” per capire che la notizia non ha alcun fondamento; idem se la fonte dell’indiscrezione è notoriamente una persona pettegola e maliziosamente curiosa.
2. Utilità
È utile per me ascoltare quel racconto? Mi serve per acquisire conoscenza?
Faccio un esempio: sapere che una persona si è ammalata in modo serio ed è ricoverata all’ospedale potrebbe essere una cosa utile, se questo – come conseguenza – muovesse la mia sollecitudine e carità nel trovare il tempo di andare a trovarla e portarle un po’ di sollievo.
Al contrario, venire a sapere che un marito è stato infedele a sua moglie non apporterebbe altro che turbamento in me, facendomi giudicare quell’uomo solo in base al suo sbaglio e a una sua debolezza, facendomi ergere come giudice nei suoi confronti, facendomi mancare di carità, comprensione e perdono (cose che invece – magari – la moglie ha già esercitato nei suoi confronti, perdonandolo e dando origine a un amore ancora più sincero e forte di prima).
3. Bontà
È bene per me ascoltare quella diceria?
Ci sono alcune cose che – una volta ascoltate – ci lasciano del tutto indifferenti… altre che invece ci turbano così profondamente da toglierci la serenità: per esempio quando si parla di cose “sconce”, che vanno contro il rispetto, la dignità e il pudore.
È la stessa raccomandazione che faccio riguardo ad alcuni “programmi” televisivi che rasentano (o superano) l’oscenità. Il nostro cuore è un luogo fragile e delicato, e va custodito con cura: non si può lasciare che dagli occhi e dalle orecchie passi qualsiasi schifezza e lo vada a insozzare per sempre!
Il secondo filtro: sulla bocca
Solo se passa il vaglio di questi tre criteri posso farmi la domanda successiva: è il caso che io riferisca quello che ho sentito dire?
Non sempre – infatti – ciò che per me è vero, utile e buono lo è automaticamente per un altro… Tornando all’esempio della persona gravemente ammalata e ricoverata in ospedale: è il caso che io lo riferisca ad un suo fratello che già vive segnato a sua volta dalla malattia, dalla fragilità e dal dolore e non è a conoscenza di nulla? Non sarebbe un peso troppo grande per il suo cuore?
Queste cose possono sembrare scontate, ma vedo chiaramente che il “prurito” di mostrare agli altri che la si sa più lunga di tutti prevale sempre e fa un sacco di danni.
Anche “un cattivo tacer” non fu mai scritto… purtroppo!
Al contrario, a volte siamo colpevoli di tacere cose che andrebbero assolutamente dette (se non denunciate) apertamente.
In questo caso siamo invece ammalati del difetto contrario: la ricerca del «quieto vivere», del non fare mai un’osservazione per evitare di risultare sgradevoli o antipatici.
Oppure si tace per passare come «politicamente corretti». Ma – perdonatemi – le persone politicamente corrette sono del tutto insulse: non sono né carne né pesce, e sono più dannose che inutili. Il «quieto vivere» e il «politicamente corretto» non sono altro che la maschera dell’egoismo e del menefreghismo.
Ascoltiamo e meditiamo la Parola di Dio
Per finire con la Parola di Dio, vi lascio alcuni versetti molto illuminanti dal libro del Siracide:
«Chi si fida con troppa facilità
è di animo leggero;
chi odia la loquacità sfugge al male.
Non riferire mai una diceria
e non ne avrai alcun danno;
non parlarne né all’amico né al nemico,
e – se puoi farlo senza colpa –
non svelar nulla.
Altrimenti chi ti ascolta diffiderà di te
e all’occasione ti avrà in odio.
Hai udito una parola? Muoia con te!
Sta’ sicuro, non ti farà scoppiare.
Per una parola lo stolto ha i dolori,
come la partoriente per un bambino.
Una freccia confitta nella carne della coscia:
tale è una parola in seno allo stolto…
Interroga l’amico,
perché spesso si tratta di calunnia;
non credere a ogni parola». (Sir 19,4-15 passim)
E un versetto del Salmo 141:
«Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra» (Sal 141,3).