Va’ dove non ti porta il cuore. 7ª Domenica del Tempo Ordinario (A)

Va' dove non ti porta il cuore

Letture: Lv 19,1-2.17-18; Sal 102 (103); 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

Per riassumere il contenuto della mia riflessione questa domenica ho scelto – provocatoriamente – un titolo che richiama (ma contraddice) quello di un famoso romanzo di Susanna Tamaro.

Se vi state chiedendo il perché, ve lo spiego subito: perché il mio cuore non va sicuramente nella direzione che mi indica Gesù. Forse il vostro sì (se è così, sentitevi liberi di trovare un altro titolo), ma il mio – se deve contare solo sulle sue forze e sulle proprie inclinazioni – si rifiuta.

Oltre ogni limite

Nel brano di oggi (che chiude il primo capitolo del Discorso della Montagna) Gesù ci porta alle vette più alte del suo annuncio, aperto con le Beatitudini; oserei dire a limiti umanamente irraggiungibili. Il Maestro che non è venuto ad abolire la Legge e i Profeti ma a dare pieno compimento si spinge oltre i limiti dell’immaginazione.

E non perché ci chiede di amare i nostri nemici e pregare per i nostri persecutori, di reagire con la remissione invece che con la vendetta al male che ci viene fatto… ma perché termina invitandoci ad essere perfetti come Dio.

Vi pare poco?

Quante volte – di fronte ad esempi sublimi di vita (non solo cristiana) – ci siamo detti «eh, va beh… ma io non sono mica un santo, eh?!»

E quante volte – proponendo la vita di Gesù come modello da seguire – la risposta di quasi tutti i cristiani è «va beh! ma Lui era il Figlio di Dio!»

Sono scuse? Sì e no.

Se ce lo chiede significa che è possibile

Certamente Gesù sa di chiederci tanto quando arriva a proporci come traguardo la perfezione del Padre celeste. Ma non ci sta chiedendo l’impossibile.

Già l’Antico Testamento aveva osato una richiesta strabiliante, simile a quella di Gesù. La troviamo proprio nella prima lettura di oggi: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2).

Però, a quella richiesta si poteva cercare di porre dei limiti, degli “obiettivi” per una santità raggiungibile a livello umano. Ovvero: «Dio è santo, e anche noi cerchiamo di essere santi “a modo nostro”, fin dove riusciamo».

Invece davanti alla richiesta di Gesù non si scappa. C’è un “come” che è inequivocabile. Vuol dire che l’orizzonte, il traguardo, è proprio l’Amore infinito di Dio.

Ma è possibile essere perfetti come Dio?

Sì, ma come si fa?

Credo che occorra chiarire bene le parole.

Gesù non dice «siate impeccabili come Dio». E non dice nemmeno «siate perfetti quanto Dio».

1. Impeccabili non possiamo esserlo, perché siamo segnati dalla fragilità e dalla nostra naturale inclinazione al peccato.

Per questo Gesù ci chiede – invece – di essere “perfetti” , che significa “completi”, “portati a termine”. Ci chiede – cioè – di «fare tutto quello che è nelle nostre possibilità, portando a termine il nostro compito senza tralasciare nulla di quello che ci è possibile».

2. Allo stesso modo, amare “quanto” Dio è per noi impossibile, perché Egli è infinito ed eterno, e quindi – anche se avessimo la possibilità e la capacità di metterci ad amare quanto Lui da adesso, ci mancherebbe tutta l’eternità di Dio che ci ha preceduto: «Egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19) e ci ama da sempre.

Gesù ci dice – invece – di amare “come” ama il Padre celeste, e ci spiega anche cosa significa quel “come”:

«egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti».

Ovvero: «Dio non fa preferenza di persone» (At 10,34), non guarda in faccia a nessuno. Non sta – come noi – a ragionare «quello sì perché è bravo e se lo merita… quello no perché è un farabutto!».

A valori e categorie rovesciate

Anzi, se proprio Dio deve fare differenze e favoritismi, segue esattamente la strada opposta alla nostra: ama i piccoli, i poveri, i miseri (cfr Dt 10,17-19), quelli che non lo amano.

E così ha fatto Gesù, che si è rivolto «alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,24), e a scribi e farisei che lo criticavano, rispondeva:

«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17).

Essere perfetti come il Padre significa allora effondere tutto l’amore di cui siamo capaci verso tutti, senza guardare in faccia a nessuno, anzi, partendo proprio da coloro che meno lo meritano (i nostri nemici e persecutori), perché sono proprio coloro che più ne hanno bisogno.

Un amore “disumano”

Tornado all’inizio del mio discorso, questa cosa – umanamente – è impossibile: il cuore – per natura e per istinto – va da tutt’altra parte.

L’unico modo per riuscire a incamminarsi su questa strada (e non dove ci porta naturalmente il nostro cuore egoista e malato) è ricordarci quello che ci ha detto san Paolo nella seconda lettura:

Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?

L’apostolo ci invita – sostanzialmente – a considerare che se noi siamo qualcosa o qualcuno, è solo ed esclusivamente perché Dio ci ha amati (e ci ama) a tal punto da essere venuto ad abitare dentro in noi.

Dio non si è accontentato di riversare il suo Amore su di noi, ma ci ha investiti totalmente del suo Amore, e l’ha fatto (e lo fa continuamente) proprio quando non ce lo meritavamo:

Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,8).

Partire da quello che Dio ha fatto per noi

Solo se ci rendiamo conto di questo potremo cominciare a traboccare d’amore, a lasciar defluire da noi l’immensità dell’Amore di cui Dio ci ricopre nella Sua immensa misericordia.

Potremo diventare capaci di amare in modo “perfetto come il Padre” quando assaporeremo la dolcezza dell’essere amati immeritatamente e infinitamente da Lui.

Lo disse bene Gesù, rispondendo a Simone il fariseo disgustato nel vedere la peccatrice che compiva atti d’amore verso Gesù:

«sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (Lc 7,47).

È proprio perché non ci sentiamo mai abbastanza bisognosi del perdono e dell’amore di Dio che non siamo capaci di amare per davvero, che amiamo per convenienza o tornaconto («se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?»).

È perché non abbiamo mai chiesto sinceramente perdono a Dio (e quindi non ci siamo resi conto di essere ricoperti immeritatamente della Sua misericordia) che non comprendiamo la misura del Suo Amore.