Venite, mangiatemi! 20ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Venite, mangiatemi!
Omelia per domenica 18 agosto 2024

Quasi ci supplica il Signore: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato». Accogliamo l’invito! Ne va della nostra vita!

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Letture: Pro 9,1-6; Sal 33 (34); Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

Continuiamo ad ascoltare la catechesi eucaristica di Gesù, seguita al segno della moltiplicazione dei pani, che si fa ancora più difficile da capire e accettare:

«il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda».

Composizione di luogo

Se facciamo la composizione di luogo,1 spogliandoci di due millenni di cristianesimo e di tutto quello che abbiamo imparato a memoria nel catechismo, se ci mettiamo nei panni dei Suoi ascoltatori di allora, ci sentiamo “travolgere” anche noi dall’inaudita provocazione di queste parole.

Carne e sangue

Col termine “carne”, la mentalità religiosa ebraica intendeva la pienezza della persona, compresa la sua fragilità e debolezza creaturale.

Il sangue, invece, indicava il principio vitale degli esseri, la vita stessa donata da Dio (infatti gli ebrei praticanti ancor oggi mangiano solo carne di animali dissanguati).

Non solo ascolto

Se nei brani ascoltati le scorse domeniche (in particolare la 18ª) il pane vivo alludeva a Gesù come Parola di Vita uscita dalla bocca di Dio,2 da ascoltare e accogliere con fede, come nutrimento dell’anima, qui il Maestro ci invita a nutrirci addirittura di Lui, del Suo corpo.

Ci chiede di mangiare la Sua carne e bere il Suo sangue… una richiesta ardita! Figuratevi che nei primi secoli, quando qualche estraneo sentiva questi discorsi accusava i cristiani di cannibalismo!

Mangiatemi!

Domenica scorsa, il Maestro ci diceva per che per avere la Vita Eterna bisogna credere in Lui; oggi aggiunge che non si tratta solo di ascoltare le Sue parole e fidarci che quello che ci dice è vero e degno di fede: Gesù ci chiede di “mangiarlo”, di farlo entrare dentro di noi, perché diventi parte integrante di noi, proprio come accade con il cibo.

E ci chiede di mangiarlo nella Sua interezza, compresa la Sua dimensione di fragilità umana.

Accogliere l’umanità di Cristo

Si tratta di accettare in noi quella misteriosa debolezza di Dio che tanto ha messo in crisi i Giudei3 e anche oggi è fraintesa dai cristiani (che passano dall’estremo di un Dio troppo etereo e onnipotente a quello di un “povero cristo” come tanti).

Mangiare la carne di Cristo e diventare un tutt’uno con Lui significa vivere da uomini come Lui ha vissuto da uomo, smettendola di pensare al nostro essere discepoli come qualcosa di cervellotico, rituale e angelicato.

Significa incarnarci con Lui e come Lui nella vicinanza agli ultimi, sporcandoci le mani come ha fatto Gesù, che ha lavorato da falegname, si è commosso e ha pianto per le sofferenze dell’umanità, ha provato disgusto per il male e l’ha combattuto anche fisicamente.

Non è una minaccia

Insiste Gesù:

«se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita».

Queste parole possono sembrare una sorta di minaccia, di aut aut (un po’ come l’extra Ecclesiam nulla salus) e molte volte, purtroppo, l’istruzione catechistica della Chiesa ha inteso l’Eucaristia in questo modo: come qualcosa di assolutamente necessario per salvarsi, ma da meritarsi con una condotta irreprensibile, altrimenti… scomunica e dannazione!

In realtà, le parole di Gesù partono dalla constatazione, quasi banale, che ogni essere ha bisogno di mangiare per vivere e sostentarsi, e ha bisogno di ingerire ciò che è davvero nutriente e fortificante.

Venite!

Perciò Gesù, che sa di avere in sé la Vita, facendo quasi eco al testo della Prima Lettura, rivolge all’umanità una supplica, un invito accorato:

«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato».

Non dobbiamo meritarci questo cibo santo: dobbiamo riconoscerlo e accoglierlo!

I doni di questo cibo

Se rispondiamo affermativamente a quel «venite!», se accettiamo di fare della carne di Cristo Gesù il nostro cibo e nutrimento quotidiano, riceviamo in dote tre doni:

  1. la vita eterna (ovvero: la realizzazione piena della vita in Dio),
  2. il rimanere in Lui, in un rapporto di perfetta simbiosi e comunione,
  3. il vivere per Lui (che ha il doppio significato causale e finale: viviamo a motivo di Gesù, perché è Lui l’origine della nostra vita ma, contemporaneamente, viviamo avendo Gesù come il fine e l’orizzonte della nostra esistenza).

Direi che ne vale la pena, no?

  1. Scrive sant’Ignazio di Loyola al n. 47 degli Esercizi spirituali: «Il primo preambolo è un certo modo di fare la composizione di luogo. Per la qual cosa bisogna notare che, nella meditazione o contemplazione di una cosa visibile, per esempio il Cristo, la composizione consisterà nel vedere con la vista dell’immaginazione il luogo corporeo dove succede quello che si contempla». ↩︎
  2. «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (cfr Mt 4,4 e Dt 8,3). ↩︎
  3. Cfr 1Cor 1,18-31. ↩︎