Zitto e mangia! 19ª Domenica del Tempo Ordinario (B)
Davanti alle nostre inutili e sterili obiezioni, il Signore ci invita a mangiare quel pane misterioso che è Lui stesso, a fare esperienza di Lui
Letture: 1Re 19,4-8; Sal 33 (34); Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
C’è un tratto comune tra la vicenda del profeta Elia narrata nella Prima Lettura e la reazione dei Giudei nei confronti del discorso di Gesù: la lamentela, la mormorazione.
Quando Gesù dice «Non mormorate tra voi» allude a un atteggiamento costante nel racconto dell’Esodo: appena il popolo si trovava davanti a una difficoltà cominciava a “frignare”, contestando Mosè, e – in fin dei conti – Dio stesso.
Credo che in questo comportamento possiamo ritrovarci un po’ tutti, chi più, chi meno.
Ma veniamo – anzitutto – alla vicenda di Elia.
Vittimismo
Dopo aver combattuto da solo sul monte Carmelo contro 450 profeti di Baal e aver dato prova dell’unicità di Dio, Elia è costretto a scappare perché la regina Gezabele lo vuole uccidere.
In questo frangente difficile, il profeta dal carattere forte e veemente ha una specie di cedimento psicologico e chiede a Dio di morire:
«Ora basta, Signore! Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri».
Come risposta, Dio gli offre – nel deserto – un pane misterioso (nel quale, i Padri della Chiesa hanno intravisto una chiara prefigurazione dell’Eucaristia). Questo pane produce in lui due effetti:
- un notevole rinvigorimento fisico e spirituale, che gli consente di attraversare il deserto e superare il momento di debolezza;
- un incontro chiarificatore con Dio, che lo aiuterà a fare verità su se stesso (è descritto pochi versetti più avanti: cfr 1Re 19,9-18).
Nel colloquio con Dio si accorgerà che tutto quello di cui si lamentava era falso:
- credeva di essere «pieno di zelo per il Signore degli eserciti», ma il Signore gli fa capire che se fosse stato così, non sarebbe scappato in preda alla paura;
- pensava di essere rimasto l’unico baluardo della fede sulla terra («gli israeliti hanno abbandonato la tua alleanza… sono rimasto solo»), ma Dio gli fa vedere che non è così («ungerai Eliseo come profeta al tuo posto… Io, poi, riserverò per me in Israele settemila persone»).
Il Signore invita Elia a smetterla di lamentarsi, di “guardarsi l’ombelico”, candendo nel vittimismo («Su, ritorna sui tuoi passi»).
«Non mormorate»
Anche a Cafarnao la gente mormora:
«Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?»
Abbiamo già trovato diverse domeniche fa queste obiezioni: allora eravamo nella sinagoga di Nazaret, e le umili origini di Gesù erano una scusa per non accoglierlo come maestro… qui sono obiezioni “teologiche” per negare la Sua origine divina («Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?»).
Come sempre, Gesù non se la prende, ma invita i Suoi ascoltatori a non mormorare, perché la mormorazione non è mai un atteggiamento positivo: è un rinchiudersi in se stessi (o in piccoli gruppi settari), rifiutandosi di entrare in dialogo e mettersi in discussione.
Diversi dottori della legge e farisei erano entrati in dialogo con Gesù, ponendo domande e quesiti, come Nicodemo (cfr Gv 3,1-21) o lo scriba (cfr Mc 12,28-34), e avevano sempre ottenuto risposte sapienti.
Ma la mormorazione è una discussione sterile su questioni di lana caprina, e spesso parte da uno sguardo parziale o del tutto non veritiero sulla realtà: questa gente ha assistito ad un grande miracolo, ha mangiato in abbondanza, eppure nega l’evidenza ad ogni costo, barricandosi dietro le proprie convinzioni.
Lasciar fare a Dio
La lamentela, le critiche sterili, non solo inaridiscono il cuore di chi le fa, ma rischiano di frenare o impedire l’opera di Dio.
Per questo Gesù – dopo aver chiesto agli ascoltatori di smetterla di mormorare – li invita a rendersi conto che Dio sta cercando di attirarli:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato».
Gesù invita i Giudei – che si ritenevano esperti della Scrittura – a leggerla con sapienza e apertura di cuore:
«Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me».
Infine, ancora una volta, li invita a credere, perché solo la fede li può aiutare a rileggere il segno dei pani in un’ottica più alta:
«In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna».
Zitti e mangiate
Anche a questi novelli “profeti” di sventura, che – come Elia – si credevano gli ultimi baluardi rimasti a proteggere l’integrità della dottrina, Gesù propone un pane misterioso, capace non solo di rinvigorire, ma di dare la vita eterna:
«Io sono il pane della vita… Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».
Insomma, davanti alle contestazioni e alle obiezioni contorte, Gesù sembra dire: «prima assaggiatemi!»
Un po’ come quando un bambino fa i capricci davanti ad una pietanza che non ha mai mangiato, dicendo «non mi piace!», e la mamma – spingendogli il cucchiaio in bocca – gli dice «prima assaggialo!»
Credo che anche il Signore ogni tanto dovrebbe un po’ “forzare la mano” davanti ai nostri dinieghi, perché sono tutte delle inutili “frignate”, e dirci «màia e fà sìto!» (come si dice nel nostro dialetto bergamasco).
Basta storie!
«Zitto e mangia!», per l’appunto, perché a forza di lamentele rimaniamo a bocca asciutta. Quanto questionare facciamo davanti all’Eucaristia:
«non vado sempre a Messa per non cadere nell’abitudine… non faccio la Comunione perché non me la sento… cosa ci vado a fare a Messa? Posso fare del bene anche in altri modi, no?…»
Scuse, obiezioni, “castelli di carte” costruiti ad arte per cercare di tenerci a debita distanza dal Signore, e che – alla fine – ci impediscono di entrare in relazione con Lui.
Noi pensiamo di essere “filosofi”, di dover «ragionare con la nostra testa, senza farci imporre nulla», ma – in fin dei conti – non facciamo altro che privarci da soli di quanto il Signore vuole donarci.
Dio desidera attirarci a sé e noi abbiamo sempre pronto un: «sì… ma… però…forse…»
Sarebbe come se il medico ci dicesse: «questo farmaco è un salvavita, e devi assolutamente assumerlo, altrimenti sei spacciato» e noi stessimo lì a questionare dicendo «ma non so cosa c’è dentro… magari non è stato sperimentato a sufficienza».
Sarebbe pazzesco, no?!
Ah già, ma in questi giorni sta succedendo pure questo, con frotte di no-vax che – a costo di morire – accampano ogni tipo di scusa.
Dio ci convince dolcemente
Per fortuna – pur lasciandoci liberi – ogni tanto il Signore trova il modo di “forzare la mano” in modo dolce e farci superare le tante barriere che innalziamo a suon di scuse…
In questi giorni un signore mi ha confidato che per tanti anni non ha messo piede in chiesa, convinto che non servisse a nulla, ma – andando in vacanza da una sua parente (che era molto devota e andava tutti i giorni a Messa) – ha cominciato ad andarci pure lui, per accompagnarla… ebbene: si è ricreduto, e si è riproposto di continuare ad andarci ogni giorno, anche una volta tornato a casa sua!
Funziona come per il cibo che non abbiamo mai assaggiato e ci siamo sempre ostinati a rifiutare con un insensato (e falso) «non mi piace»: vedendo un amico mangiarlo di gusto ci incuriosisce a tal punto da spingerci a provarlo e – matematicamente – scopriamo che ci piace così tanto da dire con vergogna: «se l’avessi assaggiato prima!»
Speriamo che succeda la stessa cosa anche davanti a quel cibo celeste che è Cristo, Pane vivo disceso dal cielo: chi è cosciente di questo grande Dono sia tanto “convincente” nel cibarsene da far venire la voglia a tanti altri sospettosi mormoratori convinti che l’Eucaristia sia inutile.
A tal proposito possiamo domandarci:
- a chi ci vede partecipare all’Eucarestia viene “l’acquolina in bocca” o no?