Inutilità della fede. 27ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Siamo servi inutili

Capire cosa significa che siamo servi “inutili” accrescerà la nostra fede. “In-utile” è il servo che non si attende altra ricompensa se non la gioia di servire.

Omelia per domenica 2 ottobre 2022

Letture: Ab 1,2-3;2,2-4; Sal 94 (95); 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10

Non sempre i traduttori dei testi sacri sono riusciti a fare un buon lavoro, e nemmeno la nuova traduzione CEI 2008 ha trovato un modo migliore rispetto a quella del 1974, e – nel vangelo di oggi – ha lasciato pari pari una frase che è ormai diventata uno slogan:

«…quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Utili o inutili?

Conosciamo tutti il famoso proverbio «tutti siamo utili, ma nessuno è indispensabile», e già questo è abbastanza odioso e fastidioso quando ce lo si sente dire…

Ma quella di Gesù è una richiesta ancora più esagerata: arrivare addirittura a ritenersi inutili, oltre che non indispensabili!?

Ecco perché ho introdotto la riflessione dicendo che la traduzione del testo non è molto riuscita, anzi: non lo è per niente.

Chiedo venia se ogni volta vi devo tediare con qualche lezioncina di greco, ma attingere al testo originale in molti casi è quanto mai necessario, e quello di oggi è proprio uno di quei casi.

Il termine che in italiano è stato tradotto con “inutili”, nell’originale greco è ἀχρεῖοί (achrèioi), che letteralmente significa – sì – “inutile”, ma nel senso che non porta alcun utile, che non dà profitto.

Capite, allora, che «servi inutili» non intende alludere al fatto che non servano a nulla, o che se ne possa pure fare a meno, ma che quei sevi non debbano avere pretese: non pretendano – cioè – di essere pagati o retribuiti per il servizio che svolgono, ma lo facciano gratuitamente.

Servire ed essere serviti

Ecco perché Gesù fa precedere al Suo comando una piccola parabola:

«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?»

In una società che ammette la schiavitù, è nella normalità delle cose che un servo faccia il suo dovere senza pretendere uno stipendio.

Eppure non ci deve sfuggire il parallelismo nascosto in questa parabola esemplificativa con quella che abbiamo ascoltato nella 19ª Domenica del Tempo Ordinario:

«Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37).

L’allusione nascosta di Gesù cerca di far capire ai suoi apostoli che la ricompensa che si devono aspettare per il loro servizio non è uno “stipendio”, una “paga”, ma la gioia stessa di poter servire il loro padrone.

Gratuità del servizio

Nel vangelo di Matteo, nell’ambito della missione dei Dodici, Gesù raccomanda loro la gratuità:

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro…» (cfr Mt 10,7-10)

L’apostolo Paolo aveva capito e incarnato veramente questo comando; infatti, scriveva ai Corinzi:

annunciare il Vangelo non è per me un vanto… Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo (cfr 1Cor 9,16-18).

L’unica “paga” che gli apostoli devono desiderare e attendere per il proprio servizio è il servizio stesso, consapevoli che avranno – in aggiunta – anche la riconoscenza del loro padrone, il quale – trovandoli intenti nel loro lavoro – li onorerà del Suo Amore e si farà loro servo.

Inutilità della fede

Perché Gesù fa questo discorso subito dopo la richiesta dei Suoi di accrescere la loro fede (e dopo averli “schiantati” dicendo loro che non hanno nemmeno la fede di un granello di senape)?

Perché se c’è una cosa “in-utile”, ovvero – che non porta alcun guadagno e non pretende alcuna ricompensa se non la presenza stessa di Dio – questa è proprio la fede.

L’atteggiamento di chi ha davvero fede è quello di una semplicità e umiltà così disarmante da lasciare stupiti.

Aver fede significa svuotarsi totalmente di sé per lasciar spazio a Dio, così che Lui possa agire liberamente dentro di noi e attraverso di noi.

Servi “inutili” sono – perciò – quelli che non si attendono nemmeno un «grazie», perché sanno perfettamente di non essere loro i responsabili di quanto accade nell’annuncio del Regno, ma solo Dio, che agisce liberamente e misteriosamente attraverso di loro, nella misura in cui essi si lasciano “adoperare” come strumenti docili del Suo Amore.

È ancora il grande apostolo Paolo ad illustrarci splendidamente questa dinamica:

che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere (cfr 1Cor 4,5-9).

Vivere di fede

Quante delle nostre opere e attività pastorali sono fatte con questo spirito di gratuità?

Guardando i musi lunghi dei parroci (e di molti Vescovi), mi verrebbe da dire: molto poche!

Quante volte abbiamo l’animo abbacchiato perché le proposte che abbiamo messo in campo non sono riuscite?

Tutto questo accade perché non le abbiamo fatte con lo spirito di fede e servizio che Gesù richiede ai Suoi discepoli, ma attendendoci sempre una sorta di “tornaconto”, in termini di numeri, di risposta, di gradimento (quando non – beceramente – anche di ritorno economico, il che è deplorevole).

Agire aspettandosi qualcosa in cambio non è un comportamento cristiano, non è servizio, non è ministero, ma un comportamento da mercenari (cfr Gv 10,12-13).

Servire pretendendo o aspettandoci un guadagno significa non avere l’animo retto, come dice il profeta Amos nella prima lettura di oggi. E allora ripetiamoci spesso – come un mantra – la frase finale di quel brano:

«soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».