La “spina nel fianco”: «i miei figli non vanno più in chiesa»

I miei figli non vanno più in chiesa

Quanti genitori soffrono interiormente perché i loro figli si sono allontanati dalla fede! Ma non bisogna disperare, anzi: bisogna continuare a testimoniare e seminare

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Nella prima “puntata” ho trattato le “malattie croniche” (i peccati ricorrenti) e ho proposto il “farmaco salvavita” (la Confessione frequente).

In questa seconda riflessione a partire dagli spunti raccolti nell’ascolto paziente del mio ministero di confessore, mi vorrei soffermare sulla “spina nel fianco” di tanti genitori:

«i miei figli non vanno più in chiesa».

Quanti portano questo peso sul cuore! Quante mamme – con le lacrime agli occhi – vengono a chiederne perdono al Signore, come se fosse colpa loro!

Ognuno è responsabile di sé

Anzitutto, voglio ribadire anche qui – come faccio in Confessione – che ognuno (una volta maggiorenne) è responsabile del proprio comportamento.

L’ha dovuto chiarire anche la Sacra Scrittura, rivolgendosi a una società convinta che le conseguenze delle colpe dei padri si riverberassero sulla vita dei figli. Basti leggere le parole del profeta Geremia:

«non si dirà più: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati!”, ma ognuno morirà per la sua propria iniquità» (cfr Ger 31,29-30).

Purtroppo, quel chiarimento non sortì l’effetto sperato, se – davanti al cieco nato – i discepoli domandarono a Gesù:

«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?» (cfr Gv 9).

Eppure, mi sembra evidente che spesso le scelte dei figli non abbiano nulla a che fare con l’educazione ricevuta.

Credo di non essere l’unico a conoscere individui che sono degli autentici mascalzoni pur essendo cresciuti in famiglie eccezionali (educati da genitori di grande fede e saldi valori morali), e – al contrario – persone sante che sono come fiori rarissimi spuntati sul cemento (nel senso che la situazione famigliare di partenza era quanto di meno favorevole alla crescita di un figlio in gamba).

La responsabilità sui figli ha un termine

Non è un semplice escamotage per acquietare la coscienza dei genitori (anche perché non sarebbe un gran consiglio spirituale), ma solo un tentativo di aiutarli a capire che l’epoca della responsabilità educativa ha un termine, e non può protrarsi per tutta la vita.

La fede (come anche gli altri valori della vita), è quanto di più libero e spontaneo esista per un essere umano, e non può essere indotto o “forzato”, soprattutto in età ormai matura. Perciò, quei genitori che guardano con dolore le scelte di vita e di fede dei loro figli ormai grandi, non devono sentirsi “responsabili” di tali scelte: non si può più (e non si deve) convincerli coi metodi educativi che si usavano quando erano piccoli («devi andare a Messa!»), perché si finirebbe solo per peggiorare la situazione, facendoli sentire degli “eterni bambini” e facendogli percepire la fede come un’imposizione.

Cosa insegna la Parola di Dio

Certo, la Bibbia insegna che è doveroso ammonire chi sbaglia:

«se io dico al malvagio: “Tu morirai!”, e tu non lo avverti… della sua morte io domanderò conto a te» (cfr Ez 3,18);

ma raccomanda anche:

«padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino» (Col 3,21).

E quindi?

Cosa possono fare allora i genitori? Devono rassegnarsi e far finta di nulla? Assolutamente no.

Anzitutto possono pregare intensamente, sull’esempio di Santa Monica, che ottenne da Dio la conversione del figlio Agostino a suon di lacrime e suppliche.

E poi, la loro missione è “trasformarsi” da maestri in testimoni: non dovranno più “insegnare” la fede e “obbligare” i loro figli a metterla in pratica (come quando erano bambini), ma vivere davanti a loro da cristiani esemplari, felici di appartenere a Cristo, conducendo una vita che risplenda come luce nel mondo e dia sapore come sale della terra (cfr Mt 5,13-16).

Testimoni della speranza

Dovranno essere «pronti sempre a rispondere della speranza che è in loro» come dice l’apostolo Pietro (cfr 1Pt 3,15); per esempio, rincasando così felici da farsi domandare dai figli il motivo di tanta gioia, e rispondendo loro con semplicità: «ho partecipato all’Eucaristia, e mi sento amato da Dio».

Non di rado, infatti, in confessionale raccolgo la confidenza di uomini e donne adulti che ringraziano il Signore per averli aiutati a ritrovare la fede grazie alle preghiere e all’esempio dei loro genitori.

Continuare a seminare

Purtroppo, spesso questo accade quando i genitori ormai non ci sono più, ma la cosa serva a tutti di consolazione, perché così è la vita cristiana: raccogliamo frutti di semi che non abbiamo seminato, e – con tutta probabilità – non vedremo i frutti di quelli che noi coltiviamo col sudore della nostra fronte e annaffiamo con le lacrime della nostra sofferenza.

Il cardinal Martini diceva:

«Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto».

Coraggio, allora, genitori: non abbiate paura di continuare a seminare vita cristiana attorno a voi, e nel cuore dei vostri figli… il Signore è con voi!