Vedere per credere? San Bartolomeo apostolo

Vedere per credere
Omelia per sabato 24 agosto 2024

Il cammino della fede non è un «provare per credere», ma occorre prima credere, per vedere bene, con occhi diversi, con gli occhi interiori.

Letture: Ap 21,9-14; Sal 144 (145); Gv 1,45-51

Il racconto evangelico dell’incontro di Gesù con Natanaele (che i Sinottici chiamano Bartolomeo) è attraversato e tenuto assieme da un “filo” sottile: il verbo “vedere”.

Andare a vedere

Prima di tutti è Filippo che invita l’amico ad andare a “vedere” quel Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazaret che si è manifestato come colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti:

«Vieni e vedi».

Questa è la risposta, la “cura” per lo scetticismo di chi aveva risposto con un sonoro e sbeffeggiante

«Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»

«Ti ho visto prima io»

Ma, prima che Natanaele possa andare a vedere, lo precede Gesù, che visto Natanaèle che gli veniva incontro lo apostrofa come un Israelita in cui davvero non c’è falsità.

E, alla domanda stupita del futuro discepolo su come quel Nazareno lo conoscesse, ancora una volta, Gesù risponde:

«Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi».

Uno sguardo profondo

È abbastanza evidente che il vedere di Gesù non è quello della vista, ma uno sguardo interiore, nell’intimo, che scruta l’intera storia di Natanaele.

Ma non è finita qui: dopo l’esclamazione-professione di fede di Natanaele, Gesù torna a far leva sul verbo “vedere”, rincarando la dose e promettendo cose ben superiori:

«Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste! …In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Il verbo del credere

Scorrendo tutto il quarto vangelo, ci rendiamo conto che in Giovanni il vedere è il verbo del credere e che, anzi, spesso i due verbi coincidono, come nel racconto del cieco nato:1

«io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi» (cfr Gv 9,32-41).

Così nel resoconto della corsa al sepolcro di Pietro e del discepolo amato il mattino di Pasqua:

e vide, e credette (cfr Gv 20,1-9).

Si crede per vedere meglio

Noi, così materialisti, siamo abituati a dire «provare per credere»; ma è davvero fede quella? Oppure, come giustamente dice l’apostolo Paolo,

ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? (cfr Rm 8,24)

Nel cammino della fede il processo è proprio il contrario: occorre prima credere, per vedere bene, con occhi diversi, con gli occhi interiori, proprio come alla conclusione del miracolo del cieco nato, che fu guarito negli occhi del corpo perché aveva già buoni quelli del cuore, come ho spiegato molto bene in un’omelia di più di quattro anni fa.2


Che il Signore ci aiuti a credere sempre in Lui con la stessa sincerità e limpidezza di Natanaele e degli altri apostoli, per saper guardare e leggere la storia con occhi nuovi, che vedono in profondità.

  1. Cfr Gv 9. ↩︎
  2. Ero cieco, ora ci vedo. Omelia per la 4ª Domenica di Quaresima (A), 22 marzo 2020, in particolare il 3° paragrafo: “Camminiamo anche noi“. ↩︎