Chi mi ha toccato? 13ª Domenica del Tempo Ordinario (B)

Dio mi ha toccato!

Se vogliamo ritrovare la vita dobbiamo lasciarci toccare da Dio. È un incontro tra la Sua potenza creatrice e la nostra libertà.

Letture: Sap 1,13-15. 2,23-24; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43

Credo che la sfida più grande del mio essere prete sia aiutare la gente a credere nell’affermazione che apre la Liturgia della Parola di questa domenica:

«Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi».

Non si tratta di una battaglia che devo “combattere” con gli atei o i miscredenti, ma con i cristiani più ferventi e “frequentanti”.

La convinzione antica

Nulla è più radicato nella testa e nel cuore degli uomini della convinzione che sia Dio a mandare le croci, le sofferenze e – infine – la morte (intesa anch’essa come una punizione).

È una concezione pagana di Dio, mutuata da religioni ancestrali, in cui le divinità non sono altro che delle gelose antagoniste del genere umano, pronte sempre a mandare sciagure o punizioni, anche solo per semplice “divertimento”.

E il «Dio ti vede» col quale siamo stati “istruiti” da piccoli non ha molto di differente dalla superstizione di certe religioni preistoriche.

Anche l’Antico Testamento si è trascinato dietro per un po’ questa concezione di Dio, salvo affiancare alla punizione dei malvagi il concetto di “premio” per i buoni:

«io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Es 20,5-6).

Come si può cercare anche solo di scalfire una convinzione così radicata in noi?

Il Dio di Gesù

L’unica risposta è: «ascoltando e guardando Gesù», perché Egli ci ha annunciato e fatto conoscere il vero volto del Padre.

Nel Suo insegnamento teologico, Gesù distrugge l’atavica relazione “peccato – punizione”:

«si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico… O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico…”» (Lc 13,1-5).

L’abbiamo detto tante volte, anche nei quindici mesi scorsi: non è Dio a mandare pandemie, terremoti, pestilenze e sciagure varie!

Gesù – però – non si accontenta di smentire un’idea distorta di Dio, e – pian piano – ne ricostruisce la vera immagine nelle Parabole della Misericordia (cfr Lc 15), che terminano con l’affermazione:

«vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7)

e – in particolare – con il quadro stupendo del Padre Misericordioso che corre incontro al figlio prodigo, lo accoglie tra le braccia e lo bacia, e poi fa una grande festa perché lo ha riavuto sano e salvo.

Nel suo bellissimo libro Anche Dio è infelice (che già altre volte vi ho consigliato), Padre Turoldo propone una lettura introspettiva della suddetta parabola, descrivendo la lunga sofferenza di Dio per la creatura delle sue viscere che ha abbandonato la casa paterna: il Dio che ci ha rivelato Gesù, non solo «non gode per la rovina dei viventi», ma versa lacrime per l’uomo che si è allontanato da Lui!

Dalle parole ai fatti

Ma Gesù non è un uomo di sole parole, di insegnamenti teorici: nel vangelo di Marco (che stiamo leggendo in questo Anno B) inizia la Sua predicazione con le parole

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15).

È un annuncio che viene immediatamente “riempito” di contenuti concreti: infatti – subito dopo aver chiamato i primi discepoli (cfr Mc 1,16-20) e aver stupito tutti con un insegnamento nuovo e autorevole (cfr Mc 1,21-22) – libera un uomo posseduto da uno spirito impuro (cfr Mc 1,23-26) e prende a cuore la malattia della suocera di Pietro che era a letto con la febbre:

«Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano» (cfr Mc 1,29-31).

Sono questi gesti teneri di vicinanza e cura amorevole, che rendono vere e “toccabili” le parole di Gesù.

Non sono parole vuote, campate per aria, ma “parole incarnate”: Gesù stesso è la Parola di Dio fatta carne (cfr Gv 1,14), che rende possibile incontrare Dio non come un essere lontano e misterioso, un padrone arcigno, vendicativo, ma l’Emmanuele, il «Dio con noi» (cfr Mt 1,23), che ha cura di tutti i Suoi figli, a partire da quelli più lontani e peccatori (cfr Mc 2,17).

Un Dio “toccabile”

Le parole si dicono con la bocca, i fatti si fanno con le mani: ripercorrendo i miracoli di Gesù, si nota che – per la maggior parte – essi avvengono attraverso dei gesti concreti, manuali, “plastici”, che richiamano da vicino la creazione di Adamo (cfr Gen 2,7).

Ad esempio la guarigione del cieco nato (che ascoltiamo nella 4ª Domenica di Quaresima del Ciclo “A”):

«(Gesù) sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco…» (Gv 9,6).

Nella religione ebraica, toccare ammalati e persone contaminate era vietato, pericoloso: rendeva impuri e inadatti al culto divino (cfr il Libro del Levitico, ai capitoli 11-16).

Invece Gesù oltrepassa questa barriera, e il contatto per Lui diventa fondamentale:

«Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.» (Mc 1,40-42).

Quando la gente si rende conto che – in Gesù – Dio è diventato “toccabile”, si getta letteralmente su di Lui:

«aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo» (Mc 3,10).

La vita che passa attraverso un tocco

Siamo partiti dall’affermazione del Libro della Sapienza («Dio non ha creato la morte») e abbiamo detto che per credervi non possiamo fare a meno di ascoltare e guardare l’operato di Gesù.

Nel brano odierno – però – Marco sembra dirci che non basta più ascoltare e guardare Gesù, ma occorre entrare in contatto con Lui.

Le due storie che si intrecciano in maniera mirabile (quella di una donna adulta ammalata da 12 anni e quella di una bambina di 12 anni che sta morendo) hanno in comune diversi aspetti, ma quello che mi piace sottolineare oggi è proprio il contatto con Gesù (cercato dalla donna nel primo caso e da Gesù nel secondo).

Occorre toccare Gesù per guarire; occorre essere toccati da Gesù per risorgere.

Una fede che si può toccare

Tutti si accalcano attorno a Gesù, lo spintonano, lo schiacciano… ma una sola persona lo “tocca” veramente:

«Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”».

Sono ingenui i discepoli, superficiali. Proprio loro che hanno la grazia di poter condividere tutto con Gesù! Invece una donna – forgiata dalla sofferenza – è così carica di fede da superare le prescrizioni religiose che per 12 anni l’hanno costretta a vivere da segretata, senza il conforto di un solo abbraccio:

«venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”».

Solo quella donna aveva capito in profondità che Gesù non era un “talismano”, un mago, ma Dio in persona fatto carne; e solo Dio (che l’aveva plasmata all’inizio della sua vita) poteva ora riplasmare in lei ciò che si era ammalato.

Per capire questa cosa, ai discepoli servirà fare molta strada, assistere a molti altri miracoli; ma – dopo la Risurrezione di Gesù – potranno affermare con gioia l’incredibile esperienza di cui Dio li aveva fatti partecipi:

«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi… e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita… noi lo annunciamo anche a voi» (cfr 1Gv 1,1-4).

La fede della donna si realizza e si rende visibile proprio in quel tocco, non scaramantico, non superstizioso, ma mosso dalla speranza certa di poter entrare in contatto con il Signore.

  • Domandiamoci: i nostri “gesti” religiosi, le nostre “devozioni” sono così? Oppure sono l’esatto contrario? Noi promettiamo al Signore che avremo fede dopo che – “toccando” una statua, facendo un segno di croce etc. – si avvererà quanto avevamo chiesto

Né scienza né religione salvano l’uomo

Sarebbero tantissimi i significati e le riflessioni nascosti in questo brano evangelico, e non li possiamo esaurire tutti in una volta (pena il massacrare la vostra pazienza con una ricerca biblica che non è più un’omelia), ma credo valga la pena sottolinearne ancora qualcuno.

Marco intreccia le storie di due donne: una che stava per “sbocciare” nella sua femminilità ma la morte glielo impedisce; l’altra che sperimentava da tempo una ferita insanabile in quello che è il dono più grande che ogni donna porta in sé (la capacità di generare la vita).

L’intreccio delle due vicende non è casuale: si parla di una donna ammalata da anni a cui la medicina non ha saputo dare guarigione e di una bambina che – pur essendo figlia di un personaggio religioso influente – non ha tratto alcun vantaggio dalla cosa.

Né la scienza né la religione (intesa come culto esteriore) possono dare risposta al mistero della sofferenza e della morte, sembra dirci Marco. E allora chi può rispondere?

Solo Gesù: in Lui l’affermazione del Libro della Sapienza («Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi») non è più una semplice catechesi sapienziale, perché – in Lui – adesso Dio è Parola fatta carne, che si lascia toccare e tocca con tenerezza la fragilità dell’uomo.

“Gesù” significa «Dio salva»

Solo Gesù può salvarci, perché – in quanto Dio – ha la vita in se stesso:

«Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26).

Ecco perché, per rianimare la figlia di Giàiro, non ha bisogno di invocare Dio, come facevano i profeti dell’Antico Testamento (Elia ed Eliseo – cfr 1Re 17,17-24 e 2Re 4,8-37).

La vita stessa di Dio è in Lui, e la trasmette direttamente a chi vuole: forse è per sottolineare questa cosa che Marco – riportando le parole autentiche di Gesù in aramaico («Talità kum») – nella traduzione greca aggiunge un «te lo dico io» che originariamente non c’era.

La libertà inviolabile

Visto che come immagine-copertina di questa omelia ho scelto un particolare della Creazione di Adamo di Michelangelo, vi lascio con un’ultima riflessione che parte proprio dalla lettura di quel capolavoro.

Il dito di Dio non tocca quello dell'uomo
Michelangelo, Creazione di Adamo, 1511 circa, affresco, 28 × 570 cm. Città del Vaticano, Musei Vaticani, Cappella Sistina

Prendo spunto da una curiosità dal grande significato teologico raccontata dal sacerdote, artista e teologo Marko Ivan Rupnik:

«Quando, nel 1512, Michelangelo completò finalmente l’affresco sul soffitto della Cappella Sistina… i cardinali responsabili della cura delle opere rimasero per ore a guardare e ammirare il magnifico affresco. Dopo l’analisi si riunirono con il maestro, Michelangelo, e senza vergogna spararono: “Rifallo!”

Lo scontento, ovviamente, non era rivolto a tutto il lavoro, ma a un dettaglio apparentemente senza importanza.

Michelangelo aveva disegnato il pannello della creazione dell’uomo con le dita di Dio e di Adamo che si toccavano. I cardinali chiesero che non si toccassero, ma che le dita di entrambi fossero separati, e anzi, che il dito di Dio fosse sempre teso al massimo, ma che quello di Adamo si contraesse nell’ultima falange.

Un dettaglio semplice, ma con un significato sorprendente: Dio è lì, ma la decisione di cercarlo dipende dall’uomo. Se vuole stenderà il dito, lo toccherà, ma se non vuole può passare tutta la vita senza cercarlo. L’ultima falange del dito contratto di Adamo rappresenta così il libero arbitrio».

(Commento fatto durante l’11° Incontro Nazionale di Architettura e Arte Sacra in Brasile).

Dio vuole toccarci, ma attende che noi ci lasciamo toccare!

Se vogliamo guarire, se vogliamo rinascere a nuova vita, dobbiamo stendere quella “falange” e lasciarci toccare da Dio!

Perciò, auguro a me e a tutti che – alla domanda di Gesù «chi mi ha toccato?» – possiamo rispondere «Io, Signore, ti ho toccato! Perché solo Tu puoi ridarmi la vita!»