Perché l’ira di Dio? Santissima Trinità (A)

L'ira di Dio

Quando evochiamo l’ira di Dio dipingiamo un demone, non certo il Dio Padre che ci ha fatto conoscere Gesù e che lo Spirito Santo ci fa conoscere sempre meglio.

Omelia per domenica 4 giugno 2023

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Letture: Es 34,4-6.8-9; Dn 3,52-56; 2Cor 13, 11-13; Gv 3,16-18

Perché abbiamo bisogno di dedicare una domenica alla Santissima Trinità?

Perché non conosciamo Dio nella Sua vera essenza, o meglio: crediamo di conoscerlo, di sapere tante cose su di Lui… e, invece, purtroppo, sono quasi tutte sbagliate.

A parole predichiamo che Dio è Amore infinito, ma poi – nel cuore – crediamo in un Dio sempre adirato e vendicativo.

Prova ne è il fatto che – quando ci adiriamo noi – per giustificarci, ricorriamo subito alla citazione del brano della purificazione del Tempio, dove anche Gesù si sarebbe arrabbiato e avrebbe perso le staffe (cfr Gv 2,13-17).

Metodo sbagliato

Quando leggiamo che Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26-27), anziché procedere col metodo deduttivo (ovvero: cercare di capire come dobbiamo essere noi dopo aver conosciuto chi è Dio), ragioniamo in modo induttivo, proiettando – cioè – le nostre piccolezze e miserie umane su un fantomatico essere onnipotente, e così produciamo un’immagine di Dio antropomorfa, distorta e orribile.

La nostra idea di Dio, perciò, non è molto distante da quella delle culture pagane politeiste: assomiglia alle divinità dell’Olimpo dell’Antica Grecia, caratterizzate né più né meno che dagli stessi difetti e vizi degli uomini.

Stessi vizi, ma amplificati

Perciò ci viene naturale immaginarci un “dio” che – in quanto onnipotente – non ha limiti nel dare sfogo ai suoi sentimenti più negativi e devastanti, per esempio la gelosia e l’ira.

E ci piace un sacco invocare un “castigamatti” che sfoghi la sua terribile ira su chi – secondo noi – va punito per bene e in modo irrevocabile.

Insomma, quell’ira di Dio che ci fa tanto tremare quando immaginiamo il giudizio universale rappresentato alla nostra maniera, ci piace – invece – evocarla e pretenderla quando qualcuno ci dà fastidio e va condannato in eterno.

Ma l’ira di Dio non ha nulla a che fare con il nostro sentimento umano, che – tra l’altro – è anche un vizio capitale.

Un Dio «lento all’ira»

Mi soffermo su questo aspetto perché nella prima lettura, uno dei tratti che Dio stesso usa per descriversi e per pronunciare il proprio nome di fronte a Mosè è «lento all’ira».

Non significa che Dio è uno difficile da far arrabbiare (il che sarebbe già un bel tratto, vista la nostra propensione ad esplodere per la minima sciocchezza), ma che concede all’uomo un tempo interminabile prima di procedere a mostrare la Sua ira.

Ma cos’è l’ira di Dio secondo la Bibbia?

L’ira di Dio

L’espressione “ira di Dio”, nella Sacra Scrittura, si riferisce allo sdegno che la realtà del peccato suscita agli occhi di Dio: tra la santità di Dio e il peccato c’è una radicale incompatibilità.

Non abbiamo qui lo spazio per fare una dissertazione sul tema, ma credo che ogni buon cristiano farebbe bene ad approfondirlo e a studiarlo come si deve attraverso la Rivelazione.

Qui vi metto il link a una pagina schematica ma densa di riferimenti su Cathopedia, l’enciclopedia cattolica online.

Ira o misericordia?

Anche se approfondito, però, il concetto di ira ci risulta difficilmente conciliabile con l’attributo principale di Dio insegnatoci da Gesù: la misericordia.

Come tenere assieme il concetto di “ira di Dio” con il Suo nome di «Dio misericordioso e pietoso, ricco di amore e di fedeltà»?

Ce lo spiega Paolo all’inizio della sua Lettera ai Romani, dove non dice che l’ira di Dio si rivela sugli uomini, bensì «su ogni empietà e ogni ingiustizia» degli uomini (cfr Rm 1,18).

Non è un’ira che si abbatte sui peccatori, bensì sul peccato, sul male che danneggia l’uomo: Dio condanna il peccato, ma ha misericordia del peccatore.

Distruggere il peccato e salvare l’uomo

Ecco perché Mosè non ha paura di implorare tale misericordia:

«Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».

Aveva già capito quello che Gesù rivelerà a Nicodemo nel vangelo di oggi:

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

L’ira di Dio è condanna del peccato e salvezza dell’uomo, come ribadirà san Paolo ai Romani:

Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù… mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne (cfr Rm 8,1-4).

Dies irae

Per questo mi piace tanto il Dies irae – la famosa sequenza medievale che tanti hanno musicato nelle loro Messe da Requiem – in particolare quello di Mozart, perché è proprio un dialogo incessante tra la necessaria ira di Dio che si manifesterà nel giorno del giudizio, e la certezza di poter – anche allora – invocare con fiducia la Sua misericordia.

A chi non l’avesse mai sentito, ne consiglio vivamente l’ascolto con sottomano il testo e la traduzione italiana, in particolare, lo struggente passaggio del Recordare e del Confutatis:

Ricorda, o pio Gesù,
che io sono la causa del tuo viaggio;
non lasciare che quel giorno io sia perduto…


Tu che perdonasti la peccatrice,
tu che esaudisti il buon ladrone,
anche a me hai dato speranza…


Assicurami un posto fra le pecorelle,
e tienimi lontano dai caproni,
ponendomi alla tua destra.


Una volta smascherati i malvagi,
condannati alle fiamme feroci,
chiamami tra i benedetti.