Rivestirsi di luce. Epifania del Signore 2023

Rivestirsi di luce

L’Epifania è una luce che illumina il mistero dell’Incarnazione: rivela chi è Dio per noi e chi siamo noi per Lui. E ci invita a rivestirci della stessa luce.

Omelia per venerdì 6 gennaio 2023

Letture: Is 60,1-6; Sal 71 (72); Ef 3,2-3.5-6; Mt 2,1-12

L’incipit della Liturgia della Parola di questa solennità è stupendo e denso di poesia:

Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce.

Di tutti i vestiti stupendi che si potrebbero creare, nessuno stilista potrebbe mai eguagliarne uno “fatto di luce”… riuscite anche solo a immaginarlo?

Necessaria trasfigurazione

La prima reazione di fronte a un tale abito sarebbe la stessa meraviglia dei discepoli davanti a Gesù trasfigurato come ce lo descrive Matteo:

…il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce (Mt 17,2).

Ci sono altre immagini – sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento – che parlano di vestiti “fatti di luce” o simili alla luce:

…vidi qualcosa dall’aspetto d’uomo: da ciò che sembravano i suoi fianchi in giù, appariva come di fuoco e dai fianchi in su appariva come uno splendore simile al metallo incandescente (Ez 8,2).


Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole (Ap 12,1).

Nelle sacre Scritture, la luce ha sempre un forte legame con Dio, che ne è l’origine e il Creatore (cfr Gen 1,3).

la gloria del Signore brilla sopra di te.

L’invito del profeta Isaia è chiaro: bisogna lasciarsi trasformare totalmente dalla presenza di Dio, perché è Lui la luce che trasfigura ogni cosa e ogni essere vivente.

È il primo messaggio che cogliamo anche noi in questa festa che chiude il Tempo di Natale: la gioia dell’Incarnazione deve trasformare totalmente la nostra vita, così da non essere più quelli di prima.

Rivestiti della luce di Cristo

Proprio perché Cristo ha rivestito la nostra carne mortale, noi siamo chiamati ad essere uomini e donne nuovi rivestendoci di Lui, come ci invitava l’apostolo Paolo nella prima domenica di Avvento:

…gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce… Rivestitevi del Signore Gesù Cristo (cfr Rm 13,11-14).

È la veste battesimale, l’esistenza nuova del cristiano che è scaturita proprio dal dono dell’Incarnazione (e – definitivamente – della Pasqua), come cantiamo spesso con le parole di un canto tradizionale di Marcello Giombini:

Dio s’è fatto come noi per farci come Lui.

…per illuminare le genti

Ma non siamo chiamati ad essere luce per noi stessi: infatti

«non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15).

L’invito che Isaia rivolge a Gerusalemme (e a noi) è quello di fare come la luna, che – riflettendo la luce del sole – illumina la notte:

la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.

Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.

Tutto intorno a noi è tenebra e nebbia, ma su di noi splende la luce di Cristo risorto, che è venuto nel mondo per illuminarlo, come cantò il vecchio Simeone:

«i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,30-32).

Riflettere la luce di Cristo è il compito della Chiesa, come proclama l’inizio della Lumen Gentium che abbiamo studiato nella catechesi agli adulti dello scorso anno:

Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa (LG 1).

Abiti di luce e cattive abitudini

Se ci lasciamo rivestire della luce di Cristo e non la oscuriamo con le nostre cattive abitudini, possiamo essere anche noi come la stella cometa (simbolo che contraddistingue la festa odierna) e guidare il cammino di chi è in ricerca, illuminando le tenebre della confusione che regnano sul mondo.

Ho accostato le parole “abito” e “abitudini” perché i due termini si equivalgono: infatti l’etimologia ci dice che “abitudine” viene dal latino habitus.

Ci sono abiti di luce e abiti di tenebra, buone e cattive abitudini, e noi siamo invitati a svestire gli abiti del peccato e rivestirci si Cristo. Sono molteplici gli inviti dell’apostolo Paolo in tal senso:

quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,27).


abbandonare… l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli… e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (cfr Ef 4,17-24).


vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato… rivestitevi della carità… (cfr Col 3,1-15).

Cristiani opachi, gelosi e chiusi

Sempre più spesso, invece, ci succede di essere cristiani opachi, assolutamente non luminosi, musoni, caratterizzati da atteggiamenti che non riflettono affatto la luce di Cristo ma solamente le nostre frustrazioni: la pretesa di sentirci “migliori degli altri”, la frustrazione di essere sempre più pochi (ma buoni), l’atteggiamento da “maestrini” che sanno tutto loro, la chiusura di mente e di cuore che ci fa rifugiare nel nostro “bell’orticello” recintato e sbarrato a ogni nuovo ingresso.

Non siamo affatto come dice Isaia nella prima lettura:

I tuoi figli vengono da lontano…
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore

…tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.

Sembra quasi che ci diano fastidio gli “altri”, gli “stranieri” che vengono in cerca di Dio, quel Dio che noi dovremmo far conoscere riflettendone la luce, e invece nascondiamo dietro la nostra opacità e la nostra fede ormai “smorta”.

Torniamo ad essere testimoni

Come argomentavo nell’omelia dell’anno scorso, noi dovremmo essere “epifanie”, ovvero “manifesti viventi” della gloria di Dio, e – come dicevo in occasione della festa di santo Stefano – ora che Gesù è salito al cielo, siamo chiamati ad essere noi la Sua Incarnazione, il Suo Corpo.

Ma tanti di noi cristiani (e preti) si sono ridotti ad essere solo parole campate per aria, totalmente disincarnate e distaccate dalla vita; per questo la gente non ci ascolta più: siamo solo dei maestri e non più dei testimoni.

La conversione che ci è richiesta oggi è quella che abbiamo detto sopra: a spogliarci del nostro “io” per rivestirci della luce di Cristo e tornare nuovamente a risplendere, riflettendo la Sua gloria, così che chi ci incontra possa dire come i Magi:

«Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».