Perché confessarsi da un prete?
Perché devo raccontare i miei peccati a un prete, che è un uomo e un peccatore come me? Non posso chiedere perdono direttamente a Dio? Chi l’ha prescritto?
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Molte persone trovano enorme difficoltà a confessarsi, e uno dei motivi è il dover aprire il proprio cuore a un sacerdote.
Perché devo raccontare le mie “magagne” a un prete, che è un uomo come me? Non posso sbrigarmela direttamente con Dio? Chi l’ha decisa questa cosa?
Quante volte mi sono sentito rivolgere queste domande!
Chi l’ha deciso?
La risposta “ufficiale” è nel vangelo, quando Gesù, la sera di Pasqua, dà questo mandato ai suoi discepoli:
«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (cfr Gv 20,21-23).
Cristo stesso ha voluto che questa fosse la “forma ordinaria” per chiedere e ricevere il perdono di Dio.
Non dimentichiamo che la Confessione non è un modo per tranquillizzare la nostra coscienza, ma il Sacramento per riconciliarci con Dio, che abbiamo offeso coi nostri peccati, e – come avviene anche in ogni controversia umana – le condizioni le pone l’offeso, non certo l’offensore.
Rifiutare questo sarebbe come porre le condizioni a Dio senza averne alcun diritto.
Motivi teologici
Ci sono ragioni sia teologiche che umane per questa scelta specifica del Risorto.
Il motivo teologico riguarda la natura della Chiesa, che è non solo popolo di Dio ma Corpo di Cristo: Gesù agisce attraverso di lei per donarci i mezzi di salvezza, principalmente coi Sacramenti.
La grazia del Perdono non fa eccezione, e avviene attraverso un Sacramento, nel quale il prete non solo assolve in nome di Dio, ma agisce nella persona stessa di Cristo: fosse anche tuo fratello, in quel momento tutto ciò che gli dici l’hai detto direttamente e solo a Gesù.
Il “segreto confessionale”, perciò, non è una questione di deontologia professionale (come per gli avvocati), ma si fonda su una ragione sacramentale.
Ragioni umane
Le ragioni umane sono più facili da comprendere. La prima è che garantisce l’obiettività.
Per crescere nella verità
Le cose che abbiamo vergogna di dire a un prete generalmente sono le stesse che non siamo capaci di ammettere nemmeno a noi stessi e alle persone che ci vogliono bene.
Ma se non impariamo a dire «pane al pane, vino al vino», non cresceremo mai.
Confessarci direttamente con Dio è una finzione, un monologo con noi stessi in cui facciamo la parte sia dell’accusa che della difesa.
Per avere pace nel cuore
Fingiamo di accusarci e poi ci auto-assolviamo con tante attenuanti:
«dopo tutto, non è niente di grave…
Ma chi non lo fa al giorno d’oggi?
Eh, ma non l’ho fatto apposta! Mi hanno provocato!»
Questo atteggiamento, essendo un’operazione astratta di sdoppiamento interiore, non ci dà affatto pace, anzi: crea in noi tantissimi sensi di colpa e scrupoli di coscienza.
Come accennavo già nella quinta “puntata” di questa nostra rubrica, abbiamo bisogno di un “notaio” che ci assicuri che Dio ci ha perdonati veramente.
L’importanza di un coach…
Confessarsi da un prete, poi, è un modo per formare la propria coscienza.
Al giorno d’oggi si ricorre a consulenze specialistiche per ogni cosa, ma a nessuno viene in mente di ricorrere a un affiancamento per quanto riguarda la propria coscienza!
Il sacerdote è chiamato all’importante ministero di formare le coscienze, aiutando i fedeli a coniugare il Vangelo con la loro vita quotidiana e concreta (per questo è obbligato non solo a studiare approfonditamente la dottrina della Chiesa, ma anche ad aggiornarsi continuamente sulle nuove problematiche morali suscitate dal sorgere di situazioni contingenti dovute al progresso della storia e della società).
..per formare la coscienza
Nelle cose serie non si può essere autodidatti, tantomeno quando si tratta della propria coscienza.
Ci sono persone dalla coscienza così superficiale che non danno importanza a ciò che ne ha, e – viceversa – persone dalla coscienza così scrupolosa che esagerano qualsiasi cosa.
Spesso ci sono situazioni complesse che suscitano dubbi, in cui non si sa come procedere; a volte si fatica a valutare fino a che punto si era coscienti di ciò che si è fatto, a distinguere un peccato da una semplice tentazione, o uno stato d’animo.
In tutto questo è fondamentale confrontarsi con un “esperto” in materia.
Meglio nel segreto che in piazza, no?
Quante persone – prese dai dubbi e dal tormento interiore – sentono il bisogno di sfogarsi e lo fanno nel modo più inopportuno, magari parlandone in situazioni equivoche, come con gli amici al bar, o – peggio – in trasmissioni televisive come Forum o sui Social?
A questo punto, meglio sfogarsi con un prete, nel segreto di un confessionale, no? Almeno nessuno può servirsi delle cose che ho detto nella mia disperazione per accanirsi contro di me!
Un peccatore come me
Infine, si obbietta spesso che il prete non avrebbe titoli per fare il suo “mestiere”, essendo a sua volta un peccatore… e invece questo è un altro punto a suo favore.
Vi confessereste mai da un angelo, un puro spirito impeccabile e quindi in diritto di essere severo e implacabile nei vostri confronti, di farvi sentire pusillanimi e meritevoli di condanna anziché comprensione e misericordia?
Il prete, invece, essendo un povero peccatore come te, sa cosa voglia dire il peccato e anche la difficoltà di riconoscerlo, di ammetterlo.
È un pover’uomo che ogni giorno fa i conti con le tentazioni, le combatte e cerca di vincerle con la forza dello Spirito Santo, e può condividere con te il modo in cui il Signore l’ha aiutato a superarle.
È colui che cammina con te e ti dà la mano, ti dice “la parola buona” che egli stesso (sempre attraverso un altro sacerdote) ha ricevuto dal primo compagno di viaggio: il Signore.