Con la faccia a terra

Con la faccia a terra

Prostrarsi con la faccia a terra è un gesto che non appartiene alla nostra cultura, ma ci insegna l’atteggiamento necessario alla preghiera: l’umiltà.

Omelia per giovedì 21 marzo 2024

Letture: Gen 17,3-9; Sal 104 (105); Gv 8,51-59

Abramo è il personaggio “in comune” tra i due brani della Scrittura che il Lezionario ci propone di ascoltare e meditare oggi.

Promesse divine

Il testo della Prima Lettura ci presenta la promessa solenne di Dio ad Abramo di donargli una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare (cfr Gen 22,17), di renderlo padre di una moltitudine di nazioni.

È una promessa che – nel racconto di Genesi – viene ripetuta e ribadita molteplici volte prima di avverarsi, come meditavamo l’estate scorsa: ma Abramo è l’uomo paziente, dalla fede salda capace di sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18).

Prostrato a terra

Oggi vorrei porre l’attenzione sull’atteggiamento di Abramo che si prostra con il viso a terra davanti a Dio.

È un gesto frequente nell’Antico Testamento, e fa parte della cultura mediorientale, sia nei confronti della divinità che delle persone alle quali si intende manifestare tutto il proprio rispetto.1

È un gesto che coinvolge tutta la persona ed esprime non solo adorazione, ma – anzitutto – umiltà.

A terra perché fatti di terra

Prostrarsi a terra (avvicinando addirittura la propria faccia alla terra) è un gesto “plastico” che esprime proprio la vicinanza e la somiglianza dell’uomo con la terra.

“Umiltà” (in latino humilitas) viene, infatti, da humus, cioè “terra”; e anche “uomo” (in latino homo) ha una relazione stretta con humus, perciò, chi compie questo gesto mostra di essere cosciente della sua origine:

il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo… (cfr Gen 2,7).

È quanto ci siamo sentiti dire il Mercoledì delle Ceneri, iniziando il nostro cammino di Quaresima.2

L’importanza dei gesti

Dicevo all’inizio che il gesto del prostrarsi con la faccia a terra non fa parte della nostra cultura, ma – per quanto noi siamo più razionali e “cervellotici” – abbiamo comunque una gestualità che ci contraddistingue.

Anche noi pieghiamo leggermente il capo per fare un inchino di deferenza verso chi vogliamo omaggiare del nostro rispetto, e teniamo lo sguardo chino a terra quando ci sentiamo piccoli o inferiori (o a disagio) nei confronti di qualcuno…

Abbiamo poi il gesto del metterci in ginocchio quando adoriamo l’Eucaristia o chiediamo perdono durante la Riconciliazione…

I gesti “parlano”, dicono tanto, non solo a chi li vede, ma anche a chi li compie: il coinvolgimento di tutta la propria persona in un momento di grande intimità con Dio (qual è la preghiera) non è un orpello inutile.

Pregare con umiltà

Credo, però, che questa pagina ci voglia suggerire non solo l’importanza del coinvolgimento di tutto il nostro corpo nel pregare, ma soprattutto l’atteggiamento necessario per metterci in relazione con Dio, ovvero: la profonda umiltà.

Non si può entrare in relazione col Signore se non con questo prostrarsi con la faccia a terra che – anche se non è fatto materialmente (o completamente) col corpo – deve essere un sincero atteggiamento interiore.

Troppo spesso la nostra preghiera parte “col piede sbagliato” proprio perché – per quanto siamo certamente figli di Dio – perdiamo memoria di essere piccole creature al cospetto dell’Onnipotente, da cui ogni cosa deriva e dipende.

Certo che la preghiera insegnataci da Gesù inizia con «Padre nostro», ma subito aggiunge «che sei nei cieli».

Ricordo ancora un testo di San Giovanni Maria Vianney (meglio conosciuto come il Santo Curato d’Ars) che ho citato più volte, e che ci ricorda che la chiave che apre la porta del cuore di Dio è l’umiltà:

L’homme est un pauvre qui a besoin de tout demander à Dieu.

(L’uomo è un povero che ha bisogno di chiedere tutto a Dio).

  1. Cfr ad esempio Gen 44,14; Es 34,8; Nm 20,6; Gs 7,6… e anche nel N.T.: Ap 7,11; Ap 11,16, ma era già il gesto dei Magi, anche se non esplicitato con le parole «faccia a terra» (cfr Mt 2,11). ↩︎
  2. Non a caso, una delle possibili formule liturgiche che accompagnano quel gesto è «Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai». ↩︎