Una speranza viva
Noi cristiani dobbiamo essere testimoni e custodi della speranza, nell’attesa che si manifesti il Regno e sia glorificato Cristo e tutti lo riconoscano.
Omelia per lunedì 27 maggio 2024
Letture: 1Pt 1,3-9; Sal 110 (111); Mc 10,17-27
Oggi cominciamo ad ascoltare la Prima Lettera di Pietro, e mi spiace che il Lezionario cominci subito con dei tagli, tralasciando i primi due versetti di saluto:
Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli che vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell’Asia e nella Bitinia, scelti secondo il piano stabilito da Dio Padre, mediante lo Spirito che santifica, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi dal suo sangue: a voi grazia e pace in abbondanza.
Chi scrive?
Anche se gli esegeti sono scettici sulla paternità diretta del pescatore di Galilea (per la densità teologica del testo), la tradizione secolare concorda nel mettere questa Lettera sotto l’autorità dell’apostolo che ha avuto la grazia di proclamare Gesù Cristo Figlio di Dio e Messia, che l’ha rinnegato ed è stato perdonato, che ha seguito il cammino delle primitive comunità da Gerusalemme a Giaffa a Cesarea.
A chi scrive?
I destinatari sono – letteralmente – «gli eletti dispersi»: il termine “eletti” richiama la grande dignità del popolo di Israele, scelto da Dio con Amore (come ascoltavamo nella prima lettura di ieri), mentre “dispersi” evoca la povertà e fragilità, la sofferenza di gente che non ha una patria ed è messa ai margini della società.
C’è forse una memoria del popolo ebraico in diaspora (i luoghi citati, poi, son regioni lontane dai grandi centri di comunicazione): è bello notare l’amore con cui un apostolo, da lontano (cioè da Roma), vuole essere vicino a questi cristiani nella loro situazione storica, geografica e culturale.
Nella Trinità
L’elezione viene subito specificata trinitariamente, segno che il pensiero della Trinità riempiva il cuore dei primi cristiani:
- il Padre sceglie e ama da sempre,
- lo Spirito “lavora” e rende santi,
- Gesù obbedisce al Padre e ci asperge col Suo sangue (è questa una traduzione più precisa rispetto a quella che leggiamo nel testo CEI).1
Coscienza escatologica
Mentre nei primi due versetti Pietro esprime la coscienza trinitaria e battesimale del cristiano, in quelli che seguono (e che ci propone il Lezionario oggi) esprime la coscienza escatologica.
È una pagina piena di entusiasmo e di speranza, che inizia con una benedizione a Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo: è una formula che troviamo anche in altre lettere (cfr 2Cor 1,3).
Le affermazioni che seguono hanno come perno e parola chiave la speranza, che viene specificata in tre modi: è un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce.
Sono tre termini che in greco si costruiscono con l’alfa privativo, e intendono far capire che questa speranza è intoccabile e definitiva: è l’esperienza di un’apertura eterna, non limitata ai piccoli tempi della vita terrena.
Perciò benediciamo Dio, che ci ha dato una prospettiva che va ben al di là della morte, per raggiungere la Sua stessa pienezza, la Sua felicità: una speranza viva che è conservata nei cieli dalla potenza di Dio e si rivelerà negli ultimi tempi.
La speranza dona gioia nella prova
Proprio per questo i cristiani possono essere ricolmi di gioia, anche se afflitti da varie prove nel tempo presente: la loro fede, messa alla prova, è molto più preziosa dell’oro che – pur destinato a perire tuttavia è purificato con fuoco.
L’effusione di gioia finale riguardo a Gesù Cristo (voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa) è un approfondimento ulteriore del pensiero fondamentale: dal momento che tutto è giocato sulla speranza di ciò che verrà, e che la speranza riempie di gioia il momento presente, riempie di gioia anche l’amare Gesù pur senza averlo visto.
È la beatitudine che sgorga dalla speranza, dall’amore e dalla fede, e si manifesta, alla fine, nella salvezza delle anime.
Recuperare la speranza
Se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere che, ai nostri giorni, la speranza escatologica è piuttosto dimenticata nella Chiesa: dalle inchieste sociologiche risulta che la stragrande maggioranza dei “cristiani” non credono alla vita eterna o, al massimo, la prendono in considerazione come un’appendice possibile.
Il presente, la storia, il senso della dell’esistenza vengono letti solo in base a principi terreni… basta andare a leggere le epigrafi delle lapidi nei cimiteri: non c’è più alcun riferimento all’aldilà, ma solo frasi del tipo
visse una vita buona… fu un buon cristiano… un uomo onesto e leale…
Insomma, oggi noi cristiani abbiamo il compito di essere testimoni e custodi della speranza, nell’attesa che si manifesti il Regno e sia glorificato Cristo e tutta l’umanità possa riconoscerlo.
Solo così potremo vivere (e aiutare anche gli altri uomini a vivere) le prove non come “incidenti di percorso” o momenti difficili per i quali tocca passare, ma vere e proprie “preparazioni” del Regno.