Fame di Dio

Farsi pane per la fame dell'umanità

L’umanità non ha fame solo di cibo, ma soprattutto di giustizia, consolazione, solidarietà. In una parola: ha fame di Dio. E Dio chiede a noi di farcene carico.

Omelia per mercoledì 6 dicembre 2023

Letture: Is 25,6-10; Sal 22 (23); Mt 15,29-37

Al centro dei brani della Scrittura che la Liturgia ci regala oggi c’è il mangiare: è Dio che prepara un banchetto solenne e succulento nel brano di Isaia, ed è Gesù che sfama le folle a sazietà (per la seconda volta) nel vangelo di Matteo.

Una fame più profonda

Ma la fame di cui si parla non è anzitutto quella dello stomaco:

si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati…

La gente che si raduna attorno a Gesù ha fame di guarigione, di consolazione, di pace, di felicità… in una parola: ha fame di Dio.

Solo Dio la può saziare

A questa fame può rispondere solo il Signore: solo Lui può strappare il velo che copre la faccia di tutti i popoli, solo Lui può asciugare le lacrime su ogni volto, far scomparire l’ignominia del Suo popolo, ed eliminare la morte per sempre.

L’ha detto bene sant’Agostino all’inizio della sua autobiografia:

Signore… ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te.1

Ma noi dobbiamo aiutarlo

Ma Dio non vuole saziare da solo il cuore dell’uomo: chiede ad ognuno di noi di lasciarsi coinvolgere dalla Sua stessa compassione per le folle e di collaborare come possiamo, e con quello che siamo:

domandò loro: «Quanti pani avete?»

Il Signore chiede a noi di mettere a disposizione i sette pani e i pochi pesciolini (quel poco che abbiamo, che è sempre e comunque dono Suo) perché Lui possa raggiungere la fame di tutta l’umanità.

E ci chiede di farci tramite di questa continua redistribuzione:

prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.

Vivere i Sacramenti

Questo ricevere dalle mani di Gesù e consegnare nelle mani dell’umanità sofferente è una rappresentazione plastica dei Sacramenti che si realizzano e non rimangono solo simboli vuoti o celebrazioni liturgiche.

Noi discepoli del Risorto abbiamo la gioia e la grazia di celebrare l’Eucaristia, di essere sfamati quotidianamente ma, perché questi segni del Suo Amore portino frutto, il Signore ci chiede di “farci pane” a nostra volta, per sopperire alla fame e al grido che sale dall’umanità: «date loro voi stessi da mangiare».2

Dare noi stessi

L’Eucaristia si realizza quando siamo disposti a “darci in pasto” all’uomo che grida a Dio e cerca in noi un segno eloquente della Sua presenza e del Suo Amore.

Siamo chiamati non a dare cose materiali, soldi, ma il nostro tempo, il nostro essere, tutta la nostra vita.

Non è un’operazione da fare una tantum, ma un gesto quotidiano: prendere coscienza che la nostra vita è un dono che va ridonato, condiviso, e fare di noi stessi il cibo per sfamare la fame e la sete di Dio che questa umanità ferita e malata grida costantemente verso il Cielo e verso di noi.

  1. Sant’Agostino, Confessioni 1,1. ↩︎
  2. cfr Mt 14,16 traduz. CEI 1974. ↩︎