Non bere vino

Non bere vino

L’invito a «non bere vino» (come i nazirei) è provocazione a rinunciare a qualcosa che ci fa essere come tutti gli altri, per consacrarci totalmente al Signore.

Omelia per martedì 19 dicembre 2023

Letture: Gdc 13,2-7.24-25; Sal 70 (71); Lc 1,5-25

Mi sono soffermato abbondantemente nel 2019 e nel 2020 sulla figura di Zaccaria (che “riempie” quasi del tutto la pagina evangelica di oggi), perciò stavolta mi soffermerò su altri aspetti di riflessione.

Nascite miracolose

L’accostamento del tredicesimo capitolo del Libro dei Giudici al brano di Luca non è casuale: in entrambi i casi c’è l’annuncio di una nascita miracolosa, concessa da Dio ad una donna sterile.

Sono diverse le vicende di donne sterili rese feconde da Dio nell’Antico Testamento: da Sara (moglie di Abramo) ad Anna, madre del profeta Samuele… ma l’accostamento tra Sansone e Giovanni Battista ha altri punti in comune, legati proprio al loro destino personale.

Consacrati a Dio

Sia Sansone che Giovanni Battista vengono annunciati come futuri nazirei, cioè “consacrati al Signore”.

Quella del nazireato era una scelta molto impegnativa per chi la faceva come voto personale: per Sansone e Giovanni il Battista, però, ha scelto Dio stesso che quella sarebbe stata la loro condizione, consacrandoli a Sé fin dal seno materno.

Non bere vino

C’è un particolare che mi ha incuriosito tra le regole da osservare per i nazirei: la proibizione di bere vino o altre bevande inebrianti.

Per noi oggi il non bere vino o altri alcolici è una questione molto dibattuta, a livello di salute (la propria o quella del feto per le donne incinte) e di sicurezza (quando ci si mette alla guida), ma il significato del non bere vino nella Bibbia (e in altri contesti religiosi) è molto diverso.

Il vino era simbolo della festa, della convivialità, della gioia, e il rinunciarvi era segno concreto di una auto-reclusione, del marcare una “separazione”, anche fisica, da tutti gli altri, in quanto consacrati al Signore.

Segno di penitenza

Nella nostra religiosità, il rinunciare a bere vino (o a mangiare in modo prelibato) è segno di clima “dimesso”, una forma di digiuno e penitenza, in attesa di una festa più grande (come la Quaresima in preparazione alla Pasqua).

Non possiamo non ripensare alle parole di Gesù durante l’ultima cena, nell’imminenza della Sua Passione:

«Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc 14,24-25).

A cosa rinunciamo?

A fronte di queste riflessioni, in questi ultimi giorni di Avvento, in attesa di vivere la pienezza della gioia e della festa del Natale, se non al vino, credo siamo tutti invitati a rinunciare a qualcosa che ci dona piacere e gioia, non come gesto sterile e autolesionistico, ma come mezzo per far crescere in noi il desiderio di una festa più piena e sincera.

D’altronde, se tutti i giorni sono uguali e non ci manca mai nulla, come potremo vivere l’eccezionalità del Natale (e delle altre feste cristiane o anche solo civili)?

Consacriamoci

Inoltre, cerchiamo anche noi, in qualche modo, di consacrarci totalmente a Dio, come il Battista, magari non rinunciando al vino o a ciò che ci fa gioire, ma a ciò che ci rende né più né meno che «come tutti gli altri», quando invece dovremmo sempre ricordarci che il Signore ci ha chiamati a “distinguerci” dalla massa, come sale della terra (cfr Mt 5,13), perché siamo nel mondo, ma non siamo del mondo (cfr Gv 15,18-19).