Non sacrifici, ma un cuore contrito

Uno spirito contrito è sacrificio a Dio

Il rinnovamento del culto richiesto dai Profeti consiste nel fare di se stessi un sacrificio: «uno spirito contrito, un cuore affranto è sacrificio a Dio».

Omelia per sabato 9 marzo 2024

Letture: Os 6,1-6; Sal 50 (51); Lc 18,9-14

Il brano di Osea, che il Lezionario ci propone come Prima Lettura, termina con un richiamo frequente nella letteratura profetica:

voglio l’amore e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio più degli olocàusti.

È la denuncia di un culto divenuto ormai solamente esteriore e la richiesta di un cuore sincero, per un rapporto più intimo con Dio.

Sacrificare se stessi

Nell’Antico Testamento, la parola “sacrificio” indica genericamente il rito di uccisione di animali per rispondere a varie necessità religiose ed entrare in rapporto con Dio (offerta di riconoscenza, gesto di comunione, mezzo per espiare i peccati).

Per quanto questi riti avessero tutta una loro valenza simbolica e sacrale, però, era sempre qualcun altro a “pagare” con la propria vita (nella fattispecie: gli animali sacrificati).

Il rinnovamento del culto richiesto dai Profeti consiste nel fare di se stessi un sacrificio (ovviamente, non inteso come soppressione della propria vita).

Vero sacrificio è il cuore contrito

Il Salmo 51 (il celeberrimo Miserere), proposto oggi come Salmo Responsoriale, chiarisce come operare questa “trasformazione” rituale:

Tu non gradisci il sacrificio;
se offro olocàusti, tu non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio;
un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi.

Il vero sacrificio (in questo caso per l’espiazione del proprio peccato) non è più l’offerta di un capro espiatorio, ma del proprio cuore pentito.

Offrire il proprio pentimento

Il brano di Vangelo odierno, con la breve parabola del fariseo e del pubblicano, è la più vivida rappresentazione di come mettere in pratica questo consiglio.

Gesù indica chiaramente chi dei due entri veramente in rapporto con Dio: non il fariseo che si vanta di offrire quanto prescritto dalla Legge (digiuno e decime sui propri raccolti e possedimenti), ma il pubblicano, che non ha altro da mettere davanti a Dio se non il proprio pentimento sincero.

#appuntalaparola

E, proprio perché è Gesù stesso a confermarci che questo è il vero culto e il vero sacrificio gradito a Dio (come già insegnava Davide nel Miserere), non possiamo far altro che “appuntare” l’ennesimo hashtag, o “parola-chiave” e appendere l’ennesimo Post-it sullo sportello del nostro frigorifero, ma soprattutto, far diventare nostra preghiera costante, ad ogni respiro, come il pellegrino russo, l’invocazione del pubblicano:

«O Dio, abbi pietà di me peccatore».