Quei malvagi siamo noi. 27ª Domenica del Tempo Ordinario (A)
Siamo noi quelli che stanno maltrattando la vita, l’uomo e l’intero Creato come fossimo padroni del mondo: è inutile che ce la prendiamo con qualcun altro.
Omelia per domenica 8 ottobre 2023
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Letture: Is 5,1-7; Sal 79 (80); Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
Anche la parabola dei vignaioli omicidi che ascoltiamo questa domenica è una magistrale narrazione, costruita ad arte per far saltare per aria “la molla” di chi ascolta, portandolo inevitabilmente a tirarsi la zappa sui piedi.
Una storia verosimile
La situazione decritta da Gesù era verosimile: in Galilea c’erano molti vigneti di proprietà dei ricchi di Gerusalemme, in cui andavano a lavorare i poveri contadini del posto. A volte qualche ribellione o insurrezione verso i padroni capitava.
Gli ascoltatori (sicuramente ricchi possidenti), si aspettavano che la morale del racconto del Rabbi venuto dalla Galilea sarebbe stata di essere solidali con quei poveretti, capirli, scusarli e perdonarli…
Così, quando Gesù domanda proprio a loro cosa avrebbero fatto al posto del padrone, rispondono duramente:
«Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
Ma i protagonisti sono altri
Pensavano di aver sostenuto a spada tratta la giustizia e i propri diritti di fronte a quel Maestro rivoluzionario “malato” di misericordia e perdono; invece, in realtà, si erano accusati da soli.
Come accade spesso nelle parabole, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo avevano creduto fino alla fine di potersi immedesimare nel padrone: invece, Gesù aveva fatto loro capire che il padrone è Dio.
Li aveva messi con le spalle al muro: «siete voi i fittavoli della vigna; voi vi siete ribellati e non avete voluto consegnare a Dio i Suoi frutti, perciò – come avete detto bene – meritereste di essere ammazzati miseramente».
Altra è anche la conclusione
Grazie al cielo, come dicevo già tre anni fa, Dio non è così: non uccide, non ammazza, non fa piazza pulita, ma affida ad altri il Suo Regno, così che venga fatto fruttificare, in attesa che i primi destinatari capiscano il loro sbaglio e si convertano.
A noi che dice?
Ora ad ascoltare questa parabola ci siamo noi, dopo duemila anni: che messaggio ne dobbiamo trarre?
Anzitutto, avendola già letta, ascoltata e meditata più volte, non abbiamo più la possibilità né tantomeno il diritto di pensare «non siamo noi quei vignaioli».
Non possiamo più fare l’errore (durato secoli) di credere che i primi agricoltori siano l’immagine del popolo ebraico e il «popolo che ne produca i frutti» quella dei cristiani, perché – se così fosse – dovremmo miseramente ammettere, che anche col “secondo tentativo” il padrone ha preso una bella cantonata.
Siamo noi, proprio noi cristiani, coloro che hanno ricevuto “in affitto” e in consegna il Regno di Dio e non lo stiamo facendo fruttificare.
Occorre attualizzare il messaggio
Dobbiamo sentirci chiamati in causa in prima persona, in modo forte, e per farlo occorre rendere attuale e concreto il messaggio della parabola, traducendo in termini contemporanei il riferimento semantico della vigna.
La vigna è la nostra vita, che non ci appartiene, perché è Dio ad avercela affidata come amministratori.
La vigna è il mondo, la nostra “casa comune” (come l’ha chiamata più volte Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ e torna a chiamarla nell’esortazione apostolica Laudate Deum).
Quei malvagi siamo noi
È chiaro, perciò, che «quei malvagi» siamo noi, che insistiamo a dire, a parole e con i fatti, «la vita è mia, e ne faccio quello che voglio».
Siamo noi uomini i responsabili della catastrofe annunciata e sempre più vicina che riguarda il Creato, come afferma in modo perentorio il Papa nell’esortazione appena pubblicata.
Cerchiamo in tutti i modi di negarlo, di scansarci, di scrollarci di dosso le nostre responsabilità, di trovare scuse, giustificazioni e “benaltrismi“, ma dobbiamo essere sinceri: i responsabili di questo disastro siamo noi.
Un monito fastidioso
È un richiamo fastidioso, e molti cercano di farlo tacere in ogni modo, come già i capi dei sacerdoti e i farisei con Gesù (cfr Mt 21,45-46): stamattina alla radio ho ascoltato interventi e reprimende di diversi giornalisti, che accusano il Papa di parlare di affari non suoi, di aver proclamato il “dogma ecologista” invece di parlare di Dio.
Questa gente dimentica bellamente che Dio si è incarnato in Gesù Cristo, e tutto ciò che riguarda l’uomo riguarda Dio (per la verità dimenticano anche quanto bene abbia fatto Leone XIII con la Rerum Novarum per i diritti dei lavoratori… ed eravamo nel 1891!).
Non gettiamo il tesoro!
Possiamo tranquillamente mettere la testa sotto terra come gli struzzi, o uccidere il Grillo Parlante, ma non faremo altro che il nostro male, perché l’intento del Signore nel farci capire che siamo noi gli artefici del nostro destino, non è tanto una minaccia o un’accusa, ma il richiamo accorato di un Padre che cerca solo di ricordarci che ci ha messo nelle mani tutto quanto aveva, tutto Se stesso!
Non gettiamo via il tesoro che Dio ci ha donato, non sprechiamolo, non roviniamolo irrimediabilmente per noi e per chi verrà dopo di noi: non si tratta solo dell’ambiente, ma della salvezza dell’umanità, perché, come ci ripete spesso Papa Francesco
“tutto è collegato” e “nessuno si salva da solo”.
(Laudate Deum 19)