Sincerità, non solo a parole. San Bartolomeo apostolo

Sincerità

Gesù apprezza la sincerità e la trasparenza interiore di Natanaele, e la fa diventare la base del suo cammino di santità. E noi siamo onesti, non solo a parole?

Letture: Ap 21,9-14; Sal 144 (145); Gv 1,45-51

Dopo un Prologo che è un condensato di alta teologia ed ermeneutica e una luminosissima (e altrettanto teologica) presentazione del Battista, anche san Giovanni evangelista si lascia andare ai ricordi personali e a dettagli quasi poetici.

Ricordi personalissimi

Nell’ultima parte del primo capitolo narra con toni quasi nostalgici la chiamata dei primi discepoli, che avviene come una sorta di passaparola e “reazione a catena” (cfr Gv 1,35-51).

Fa parte di questi passaparola anche la vicenda di Natanaele, che la tradizione identifica con san Bartolomeo.

Passaparola

Filippo (che è stato chiamato direttamente da Gesù) incontra l’amico e lo rende partecipe della sua “scoperta”:

«Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret».

Da parte sua, Natanaele non riesce a trattenere la risata ironica, ed esce in tutta la sua sincerità – senza peli sulla lingua – a denigrare Nazareth, paese sperduto fra le montagne da cui non ci si può aspettare nulla, non essendo mai citato nelle Scritture:

«Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?»

Ahia… beccato!

A una prima lettura, il seguito del racconto sembrerebbe descrivere la scena di quando uno parla male di una persona che crede assente, ma in realtà poco dopo – nell’imbarazzo più totale – si accorge di avere alle spalle.

Sembrerebbe cioè che l’affermazione di Gesù («Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità») sia l’altrettanto ironica traduzione di un «guarda che ho sentito bene quello che hai detto di me e del mio paese, neh?»

Un altro tipo di conoscenza

Invece, seguitando a leggere, si intuisce subito che Natanaele non si sente “scoperto” nella figuraccia di quello che ha appena detto, ma conosciuto nel profondo, da un uomo che è capace di leggergli dentro.

Gesù dice a Natanaele: «apprezzo la tua sincerità: non solo (e non tanto) il tuo non aver peli sulla lingua (quello lo vedono tutti), ma quella che ti spinge ad essere un uomo tutto d’un pezzo, un uomo di parola, che per le sue idee è pronto a battersi fino in fondo».

Infatti, meravigliato e stupito, ribatte a Gesù:

«Come mi conosci?»

Dio è nel più intimo di noi

Natanaele si sente conosciuto da Gesù più di quanto egli conosca se stesso, proprio come dirà un giorno sant’Agostino nelle sue Confessioni:

«Tu infatti [Dio] eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta (interior intimo meo et superior summo meo)».

(Agostino d’Ippona, Confessioni, III,6,11)

Dio ci conosce da dentro: non è un “curiosone” (come spesso viene rappresentato e immaginato), una sorta di “Grande Fratello” che ci “spia”, ma un Padre che ci ama per quello che siamo, anche con i nostri “spigoli” e le nostre incongruenze.

La sincerità amata da Dio

Natanaele capisce che Gesù gli vuole bene così come è, nonostante il suo essere sfacciato e insolente, perché ha visto che la sua sincerità non si ferma lì, ma è radicata nel cuore: è onestà, saldezza di principi.

Ed è una saldezza capace anche di farsi mettere in questione, di lasciarsi smentire se serve: Natanaele non è un testone, uno che dice «Io rimango della mia idea, cascasse il mondo!», ma un uomo disposto a ricredersi, a convertirsi.

Ed è quello che fa, con una cristallina e stupenda professione di fede:

«Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!»

Raccogliamo l’esempio

Ancora una volta – come con tutti i Santi che la Chiesa ci propone – siamo invitati non solo ad invocare protezione e aiuto, ma a raccogliere il testimone e imitare.

Da Natanaele-Bartolomeo dobbiamo imparare senz’altro questa sincerità.

Non basta essere uomini sicuri di sé, sfacciati nel dire sempre quello che pensiamo e abbiamo in mente: occorre che la sincerità sia anzitutto quella del cuore, davanti a Dio e davanti ai fratelli, capace di riconoscere i propri difetti, di mettersi in gioco, di lasciarsi convertire dall’Amore di Dio.

Solo così la sincerità diventa testimonianza, ovvero martirio.