Meglio senza nome che senza vita. Mercoledì Santo

senza nome

Passiamo la vita a cercare di “farci un nome”, ma chi accoglie veramente Gesù è un “tale”, senza nome. La sua casa diventa il Cenacolo. Meglio lui, no?

Letture: Is 50,4-9; Sal 68 (69); Mt 26,14-25

Come dei cerchi concentrici, la Liturgia della Parola di questi giorni ci fa avvicinare al centro del mistero infinito dell’Amore di Dio, che si manifesta nel dono totale che Gesù fa di sé.

E non dobbiamo lasciarci distrarre da ciò che ci colpisce di più, come purtroppo avviene nel sistema odierno di “informazione” propinato dai mass media.

Il gusto dell’orrido

TG, giornali, internet… sono tutti impostati per attirare la nostra attenzione con la cronaca nera o con gli scandali di ogni genere.

Così, magari, anche davanti a questo brano di vangelo ci lasciamo attirare subito dalla meschinità di Giuda e del suo tradimento.

Certo, è lui ad aprire il racconto, ed è circostanziato con dovizia di particolari, quasi come una carta d’identità:

uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta…

Nome, cognome, soprannome, appartenenza civile, sociale, religiosa…

Ma non è lui il personaggio principale (che è sempre Gesù).

Non è nemmeno è l’attore non protagonista.

L’attore non protagonista

Ecco, su questa figura vorrei soffermarmi: l’attore non protagonista, la comparsa.

Anzi: a ben vedere non è nemmeno una comparsa, perché non compare fisicamente.

Mi sto riferendo a quel “tale” che ha messo a disposizione la sua casa perché Gesù potesse celebrarvi la Pasqua coi suoi discepoli.

Non ha un nome, non viene descritto… eppure in casa sua – grazie alla sua disponibilità – avverranno i più grandi misteri dell’inizio della comunità cristiana.

Ebbene sì: la sua casa, quella «grande sala al piano superiore, addobbata con divani» (cfr Mc 14,15 e Lc 22,12) diventerà il Cenacolo.

Quanta grazia nel cuore di chi dice «sì»!

Lì sarà istituita la Santa Eucaristia.

Proprio lì Gesù laverà i piedi ai suoi discepoli.

In quella stanza, sbarrata dalla paura, avverranno le prime apparizioni del Risorto.

Sempre lì discenderà in modo strabiliante lo Spirito Santo.

Da lì prenderà il via la Missione dei Dodici e della Chiesa.

Quanti miracoli avvengono in quella casa!

Quanta grazia riempie in modo traboccante il cuore di chi (come Maria) dice «sì» e accoglie la presenza di Dio come ospite tanto atteso e gradito!

Accogliere o tradire

Giuda, come gli altri apostoli, è destinatario del dono più grande: di Gesù che si consegna totalmente a lui.

Ma invece di accoglierlo in sé, lo tradisce, lo consegna subito ad altri.

Anzi: lo svende! Trenta monete d’argento, secondo la legge di Mosè, erano il prezzo di uno schiavo o di una donna (cfr Lv 27,1-4)!

È il vuoto che attira il pieno

Non sono da meno gli altri undici, che – fin dall’inizio – parlano della Pasqua come di “un affare di Gesù”:

«Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?»

Non è solo un modo di parlare umile e rispettoso, ma proprio il segno del sentirsi “chiamati fuori” da questa cena.

E ce lo ricorda spietatamente Luca, che subito dopo l’istituzione dell’Eucaristia, annota:

E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande (Lc 22,24).

La loro testa è altrove, il loro cuore è già troppo pieno di altri sentimenti e interessi per potere accogliere dentro di sé il Dono di Gesù.

Anche loro – come Giuda – l’hanno già svenduto, e “barattato” con altro.

Tabernacolo o spelonca?

Invece quel “tale” senza nome che ha messo a disposizione la sua casa perché Gesù potesse fare la Pasqua coi suoi discepoli: l’ha accolto incondizionatamente, totalmente definitivamente.

Tanti in questi giorni mi dicono che gli manca poter fare la Comunione…

Ma chiediamoci: quante volte abbiamo fatto la Comunione in maniera distratta e abitudinaria?

Senza preparare e “addobbare” la stanza del nostro “Cenacolo” interiore?

Quante volte abbiamo lasciato “scappare” Gesù senza accoglierlo veramente nella nostra “casa”, nella nostra vita?

Quante volte siamo usciti di chiesa non come degli “ostensori”, dei “tabernacoli viventi” (quale dovrebbe essere ogni cristiano che partecipa all’Eucaristia e riceve la Santa Comunione) ma siamo corsi subito incontro a qualcosa che per noi aveva più importanza?

Per quanto poco abbiamo svenduto il Nostro Signore e Salvatore?

Chi non accoglie Dio è morto dentro

Sembra durissima – e “non da Gesù” – l’affermazione riferita a Giuda che tradisce e svende il suo Maestro:

«Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!»

Ma non è una minaccia o una maledizione: è – purtroppo – una constatazione.

Chi non è capace di accogliere in sé un Dono grande come quello della vita di Gesù non sta vivendo: la sua vita non ha alcun senso.

Una vita vissuta col cuore pieno di sé, o di cose che non hanno valore, non è degna di essere vissuta.

Puoi essere il più grande scienziato del mondo, avere tutte le ricchezze dell’universo, una fama da milioni di followers sui Social… ma se non apri il cuore alla Grazia di Dio la tua vita è inutile.

Meglio senza nome

Quante volte nel nostro mondo risuona minacciosa l’affermazione «lei non sa chi sono io!»

Ecco: si passa la vita a cercare di “farsi un nome”.

Dopo aver letto il Vangelo di oggi, preferisco essere quel “tale” senza nome, sconosciuto.

Meglio un “signor nessuno” che si fa “Cenacolo” per Gesù, piuttosto che un “Mister Famoso”, così pieno di sé da lasciarsi sfuggire il Dono più prezioso.