Gettare fuoco sull’acqua. 20ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

Gettare fuoco sull'acqua

Cristo vuole gettare il fuoco del Suo Amore sulla nostra fede all’acqua di rose, tiepida e insipida. Ma attenti: il vero fuoco è Lui, non la nostra arroganza.

Omelia per domenica 14 agosto 2022

Letture: Ger 38,4-6.8-10; Sal 39 (49); Eb 12,1-4; Lc 12,49-53

Si dice che sia un gran pregio quello di chi sa «gettare acqua sul fuoco», che sa trovare vie di mediazione, che sa “giocare” con la diplomazia…

Ma Gesù non è uno di quelli, anzi, è un “piromane”:

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!»

L’espressione è molto forte, e la nuova traduzione CEI 2008 la rende molto meglio rispetto alla precedente («gettare fuoco» invece di «portare il fuoco»).

Non si gioca col fuoco…

Sappiamo tutti quanto sia devastante la potenza del fuoco: in questa estate torrida e siccitosa gli incendi stanno mettendo ancora più del solito a dura prova l’intervento della Protezione Civile e dei volontari per salvare ettari ed ettari di bosco…

Ma sappiamo anche quante cose grandiose si possano fare soltanto per mezzo del fuoco: non solo riscaldare i nostri ambienti d’inverno e cuocere le vivande (se Putin ci manderà ancora il gas), ma purificare l’oro, fondere e forgiare i metalli…

L’immagine di Gesù – ovviamente – è metaforica, e indica la presenza stessa di Dio.

Nella Bibbia è simbolo di Dio

Nella Sacra Scrittura il fuoco è un segno altissimo in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Jawhé:

  • la fiamma che fa ardere il roveto sull’Oreb è il primo segno della presenza di Dio nel racconto dell’Esodo (cfr Es 3);
  • è la manifestazione della potenza divina invocata dal profeta Elia (cfr 1Re 18,24.38);
  • nel Cantico dei Cantici è una vampa divina, sigillo dell’amore vero (cfr Ct 8,6);
  • per il profeta Geremia è immagine del legame con Dio, che brucia incontenibile dentro le ossa (cfr Ger 20,9);
  • per i discepoli di Emmaus è calore che fa ardere il cuore (cfr Lc 24,32);
  • per gli apostoli radunati nel Cenacolo a Pentecoste sono lingue infiammate, che colmano di Spirito Santo (cfr At 2,3-4).

Anche nella liturgia…

La stessa celebrazione centrale dell’anno liturgico (la Veglia della notte di Pasqua) inizia con un fuoco nuovo, da cui si attinge per accendere il Cero Pasquale (simbolo di Cristo risorto), e da quello – poi – le candele dei fedeli radunati nel buio della notte.

Come a dire: è da lì – dalla Luce di Cristo – che il credente attinge forza e vita.

Se la Chiesa non arde di questa fiamma è destinata a morire.

Perché Gesù ci vuole “incendiare”?

Come dicevo tre anni fa, Gesù non è venuto a portarci il “quieto vivere”, una pace in “saldo di fine stagione”, ma una Parola che brucia, perché è una Parola d’Amore.

L’Amore (quello vero) brucia e consuma nel profondo, e siccome Dio è Amore (cfr 1Gv 4,8.16), non sopporta la tiepidezza e le “mezze misure”:

«Così parla l’Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (cfr Ap 3,14-16).

Chi incontra Cristo (per davvero) si incendia il cuore.

Questo è ciò che dovrebbe trasparire da noi cristiani, nelle nostre Comunità: vite “accese”, anime che bruciano e non stanno più nella pelle per l’ardore che portano dentro.

Ma troppo spesso le nostre assemblee sono una minestra (poco) riscaldata: siamo tiepidi e insipidi, altro che sale della terra e luce del mondo! (cfr Mt 5,13-16)

Per questo Gesù vuole «gettare il fuoco» sulla nostra fede all’acqua di rose.

Ma niente lanciafiamme!

Ma attenti, che il fuoco – usato male – non aiuta, anzi…

Ci sono (e ci sono sempre state) nella Chiesa persone esagitate e kamikaze col lanciafiamme in mano, che – per contrastare la tiepidezza della fede – si atteggiano e piromani, più fondamentalisti degli islamici della Jihād.

Gesù è venuto a gettare fuoco sulla terra, ma non alla maniera dei Boanerghes:

«Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (cfr Lc 9,51-55).

La nostra fede ha bisogno di una “riscaldata”, senz’altro, ma non fatta con violenza e prepotenza.

È Cristo il fuoco da trasmettere, da far trasparire nelle nostre vite, non la nostra sicumera!

Invece, quanta arroganza e supponenza – spesso e volentieri – in alcuni “cristiani” che si fregiano della loro “fede” per denigrare o sminuire persone che sono ancora indecise e in ricerca, anziché aiutarle e incoraggiarle ravvivando in loro il calore e la passione per la Parola di Dio.

Come le candele di Pasqua

Dobbiamo essere come le candele della notte di Pasqua, che – dopo aver attinto dal Cero Pasquale – si passano la fiamma l’una all’altra, con pazienza e rispetto: il fuoco di Cristo divampa, riscalda, illumina, e man mano rischiara tutta la chiesa, ma senza bisogno di lanciafiamme, e nemmeno di accendini da barbecue.