«Io sono colui che sono»
«Io sono colui che sono» è il nome più misterioso mai pronunciato. Ma Dio ha deciso di “coronarlo” di tutte le caratteristiche necessarie a farcelo comprendere.
Omelia per giovedì 20 luglio 2023
Letture: Es 3,13-20; Sal 104 (105); Mt 11,28-30
La prima lettura di oggi è uno dei vertici dell’Antico Testamento, che ha posto (e pone tuttora) agli studiosi problemi sia di ordine filologico (per capire l’etimologia del nome YHWH, il famoso tetragramma sacro) che di ordine esegetico e teologico (per definire il senso generale del racconto e la portata della Rivelazione che trasmette).
Accontentatevi
Io, come sempre – non essendo né un teologo né un biblista, ma un semplice “badilante” della Parola di Dio che medita e prega “ad alta voce” – non vi proporrò esegesi o studi approfonditi.
Non farò altro che un’umile e breve lettura spirituale, utile al massimo per introdurre una Lectio Divina, o (ciò che è più importante) per applicare questa Parola alla vita quotidiana.
Che pretesa!
Più volte nelle mie riflessioni ho spiegato come nella cultura ebraica il nome non sia solo una sorta di etichetta o di informazione da conservare nei registri dell’Anagrafe, ma indichi tutta l’essenza e la storia di una persona: conoscere il nome di qualcuno significava avere con quella persona un rapporto del tutto particolare, intimo, quasi di “possesso”.
Ecco perché chiedere a Dio come si chiami è una pretesa, un affronto.
Chiedo per un amico…
Mosè lo sa benissimo, ma – da buon “furbacchione” – prova con il metodo «chiedo per un amico»:
«Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?»
Ci ha provato, insomma, dai… ma se avesse letto un po’ la storia dei suoi antenati, avrebbe saputo benissimo che non ci doveva provare, nemmeno così. Mi riferisco al bellissimo brano della lotta notturna di Giacobbe con Dio:
Giacobbe allora gli chiese: «Svelami il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?» (cfr Gen 32,23-33).
Io sono, e basta!
Perciò, anche a Mosè Dio risponde quasi “stizzito”:
«Io sono colui che sono!»
Dico stizzito perché, di fatto, una delle tantissime traduzioni possibili di questa risposta (resa, a mio avviso, dal punto esclamativo finale) potrebbe essere «Io sono chi voglio essere! Non ho altro da dire. Non ti riguarda. E poi non lo capiresti nemmeno se te lo spiegassi!»
Dio vuole rivelarsi
Potrebbe sembrare che Dio non voglia svelare il proprio nome, la propria essenza, la propria natura… ma non è affatto così. Solo che Dio non è un oggetto, non lo si può comprendere (ovvero “contenere”), come le altre realtà della natura: l’unico modo per conoscerlo è che Lui stesso ci venga incontro.
Nelle “aggiunte” di “specifiche” che Dio consegna a Mosè, c’è tutta la volontà di Dio di rivelarsi nel modo più preciso e conoscibile che sia consentito alla natura umana:
E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi… Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”».
Come accennavo alla fine della riflessione di ieri, Dio – pur essendo la realtà più misteriosa che ci sia (l’Unico che possa dire di essere, di esistere e di avere il potere di far esistere ogni altro essere) – desidera avvicinarsi ed entrare in relazione con l’uomo.
Oltre a “inglobare” nel proprio nome tutti i nomi dei Patriarchi (per dire che con loro e con la loro discendenza esiste ormai un’amicizia eterna), aggiunge verbi di movimento, di “avvicinamento”.
Dio si avvicina
Anzitutto, nel roveto ardente è Dio che va incontro a Mosè; ora lo manda come Suo messaggero agli Israeliti. E nel messaggio che gli chiede di portare c’è un altro verbo molto bello di “avvicinamento”:
«Va’! Riunisci gli anziani d’Israele e di’ loro: “Il Signore… mi è apparso per dirmi: Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto».
Ancora una volta sottolineo quello che accennavo già ieri: Dio non è estraneo alle vicende degli uomini, non li guarda distrattamente dall’alto verso il basso, ma si interessa, si avvicina, viene a visitarli, entra “in punta di piedi” ma anche con tutto il Suo cuore e si fa toccare fortemente dalla sofferenza umana. Proprio un attimo prima, infatti, aveva detto a Mosè:
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze» (Es 3,7).
Dio sa…
Alla fine del nostro brano, il Signore aggiunge una previsione sul futuro:
«Io so che il re d’Egitto non vi permetterà di partire…»
Dio conosce passato, presente e futuro, ma non è solo preveggenza o sapienza infinita fine a se stessa: è un’altra caratteristica del Suo essere. Dio è Colui che – conoscendo l’agire e la volontà degli uomini – ha già predisposto tutto secondo il Suo disegno d’Amore, per mettersi dalla parte dei piccoli e dei deboli.
Meditiamo e contempliamo
Credo che possiamo fermarci qui, per oggi. Non ci resta altro che fare la stessa esperienza di Mosè per consentire a Dio di rivelarsi a noi nella Sua verità.
Immedesimiamoci in Mosè davanti al roveto ardente, magari durante l’ora di Adorazione Eucaristica, o anche nel silenzio di una chiesa vuota, fissando il tabernacolo…
Quanto abbiamo bisogno di cancellare in noi tutti i nomi sbagliati che abbiamo affibbiato a Dio e lasciare che risuoni solo quello che Lui stesso ha deciso di rivelarci e che rimarrà immutabile in eterno:
«Io-Sono… Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe… Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
Dio è misterioso, immenso, infinito, ma – allo stesso tempo – vicino e intimo a noi.
È il “totalmente Altro” ma – allo stesso tempo – l’Emmanuele, il «Dio con noi» (cfr Is 7,14 e Mt 1,23).
È il «Padre Nostro», ma è «nei cieli» e il suo nome va «santificato» (cfr Mt 6,9)…