La fine dei giorni verrà quando ci sarà pace
Non dobbiamo chiederci quando sarà la “la fine dei giorni”, ma creare le condizioni di pace necessarie perché il Regno dei cieli possa finalmente instaurarsi.
Omelia per lunedì 4 dicembre 2023
Letture: Is 2,1-5; Sal 121 (122); Mt 8,5-11
Ascolteremo molti brani del profeta Isaia in questo tempo di Avvento, tante promesse che riguardano il futuro, perché – come ho detto più volte – non stiamo facendo le scenette come all’asilo: non siamo qui a far finta che Gesù non sia ancora nato e che la storia si ripeta tutta da capo.
Iniziando un nuovo Anno Liturgico, ci siamo incamminati ancora una volta assieme ai nostri fratelli nella fede per ricordarci vicendevolmente che stiamo attendendo la venuta finale di Cristo.
Ecco perché la prima profezia che ascoltiamo ci proietta «alla fine dei giorni».
Alla fine… quando?
Ogni volta che sentiamo espressioni escatologiche come questa, ci viene naturale domandarci «quando sarà la fine?»
Anche i discepoli fremevano di curiosità quando sentivano Gesù fare discorsi di questo tipo (cfr Mc 13,3-4), ma non è importante sapere “quando”: non lo è al punto che non lo sa nessuno, nemmeno il Figlio dell’uomo! (cfr Mc 13,32)
Lo sa solo il Padre: l’importante è che lo sappia Lui.
Non “quando”, ma “chi” e “come”
Per noi, invece, è importante sapere “chi” attendiamo e “come attenderlo”.
Chi attendiamo? Chi arriverà?
Verrà di nuovo il Signore, Cristo Gesù, e verrà a portare a compimento il senso della storia (cfr Ef 1,9-10).
E come dobbiamo attenderlo?
Proprio perché non sappiamo quando sarà il momento, dobbiamo cambiare atteggiamento: vigilare, vegliare, fare attenzione (come ci ammoniva Gesù nel vangelo di ieri).
Non dubitiamo: il Regno verrà
Il nostro errore è che – siccome questa venuta si fa attendere – la mettiamo in dubbio o ce ne dimentichiamo del tutto. Ma il Regno di Dio verrà, indipendentemente da noi, come ci insegnerà Marco, il nostro “catechista” di quest’anno:
«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa» (cfr Mc 4,26-29).
E se la promessa tarda a compiersi è solo perché Dio ha una pazienza infinita con noi, che non ci disponiamo mai nell’atteggiamento giusto:
Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa… Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi (cfr 2Pt 3,9).
Le condizioni del compimento
Di fatto, quella che il profeta descrive nella prima lettura, non è una situazione idilliaca che un giorno pioverà dal cielo miracolosamente, ma sono le condizioni necessarie perché il Regno di Dio possa essere accolto.
Il popolo eletto, Israele, ha più volte rifiutato l’alleanza (cfr Is 1,2-4), ma Dio non si è dato per vinto, allargando ed estendendo la Sua chiamata a tutte le nazioni.
Così, vedendo tutti i popoli affluire a Gerusalemme, forse anche il popolo eletto tornerà in sé e si ricorderà che Gerusalemme è la città santa, da cui esce la Parola del Signore.
E la parola di Dio invita a convertire i propri sentimenti di odio ed egoismo (spade e lance) in atteggiamenti di amore e di pace, che sono doni da coltivare e costruire con fatica e impegno (aratri e falci).
La pace è “conditio sine qua non”
La pace non è il “traguardo” del Regno dei cieli, ma la condizione necessaria perché Esso trovi lo “spazio” adatto per stabilirsi definitivamente tra gli uomini.
Noi discepoli del Risorto, siamo il seme di questo Regno, e siamo anche il terreno che lo deve accogliere e il “concime” che deve rendere fecondo tutto il mondo perché questo seme possa germogliare, crescere e portare frutto.
Per condizione, i cristiani sono testimoni di pace e non-violenza: in questo tempo di angoscia, perciò, se vogliamo favorire il compiersi del Regno di Dio che tutti attendiamo, dobbiamo essere noi per primi a spezzare lance e spade, a mettere da parte ogni comportamento e parola di conflitto e sopruso, tra di noi e verso il mondo.
Dobbiamo praticare e insegnare l’arte della pace.