San Giovanni: testimonianza, annuncio, comunione, gioia

Giovanni ne dà testimonianza

L’evangelista (e ogni discepolo) è uno che dà testimonianza della propria esperienza del Risorto, e lo annuncia in vista della comunione e della gioia piena.

Omelia per mercoledì 27 dicembre 2023

Letture: 1Gv 1,1-4; Sal 96 (97); Gv 20,2-8

Nel terzo giorno dell’Ottava di Natale, la Liturgia ci fa festeggiare l’evangelista Giovanni, colui che ha penetrato così in profondità il mistero del Verbo incarnato da descriverlo in quel poema mirabile e altissimo che è il Prologo del suo vangelo (che abbiamo ascoltato l’altro ieri).

Il discepolo amato?

Per anni gli studiosi del Nuovo Testamento hanno identificato Giovanni con la figura del «discepolo amato» e – anche se ora non sono più così concordi – a questo evangelista dobbiamo il Gesù più intimo, quello che più profondamente si manifesta figlio di Dio fatto uomo.

La testimonianza

Giovanni ha posto al centro del suo vangelo la manifestazione di Dio al mondo nella persona di Cristo: Gesù è il figlio di Dio, ed Egli stesso si presenta per mezzo dei suoi grandi «Io sono»1 e di una molteplice manifestazione concreta.

A questa manifestazione, Giovanni dà il nome di «testimonianza» (o di «missione»): essa consiste essenzialmente in una serie di «segni» della «gloria» di Dio; il più importante di questi «segni» è compiuto nell’«ora» della glorificazione di Cristo nel mistero pasquale.

Il “quartetto” (più uno)

Il brano della prima lettura (sul quale ho deciso di soffermarmi per la breve riflessione di oggi) è l’inizio della Prima Lettera di Giovanni, e contiene il quartetto di termini che ho scelto come titolo di questa meditazione e che riassume l’intento e l’essenza del nostro evangelista.

In realtà ce n’è un quinto che li precede: “esperienza personale”.

Questo quinto termine sottinteso è descritto ampiamente dai primi quattro verbi: l’autore si presenta, infatti, come uno che ha udito, veduto con i suoi occhi, ha contemplato e che ha toccato con le sue mani il Verbo della vita che era fin da principio.

Di questa esperienza del tutto personale, l’evangelista non vuole fare un tesoro da custodire gelosamente o condividere con una piccola setta, ma ne fa la ragione del suo essere. Essere evangelista significa, infatti,

  1. dare testimonianza
  2. annunciare
  3. con l’intento di favorire la comunione (tra i discepoli e con la Trinità)
  4. e di portare alla pienezza della gioia.

Siamo tutti evangelisti

Se Giovanni ha assolto in modo del tutto mirabile questo compito con la sua “produzione letteraria” (il vangelo, le tre lettere e l’Apocalisse) – e per questo oggi lo festeggiamo e ringraziamo -, mi viene da dire che questo è il compito anche di tutti noi.

In quanto destinatari del Vangelo e discepoli del Risorto abbiamo potuto condividere la stessa esperienza di Giovanni, e ora siamo chiamati a diventare a nostra volta apostoli ed evangelisti, cioè testimoni e missionari di Cristo, per favorire la comunione tra noi e con Dio e vivere la pienezza della gioia cristiana.

  1. Cfr Gv 6,35.51; Gv 8,12; Gv 8,24.28.58; Gv 10,7.11; Gv 11,25; Gv 14,6; Gv 14,11; Gv 15,1. ↩︎