Smettiamola di voler contare!
La tentazione e il peccato dell’uomo è valutare ogni cosa col metodo del “contare”, voler dare un valore economico e venale a tutto, anche a ciò che è grazia.
Omelia per mercoledì 31 gennaio 2024
Letture: 2Sam 24,2.9-17; Sal 31 (32); Mc 6,1-6
Ci congediamo dal Secondo Libro di Samuele leggendo una parte dell’ultimo capitolo, che racconta l’ennesimo grande peccato del re Davide: il censimento.
La tentazione di contare ogni cosa
Perché fare il censimento del popolo è un peccato?
Perché volendo contare i suoi sudditi, Davide li considera non come persone, fratelli di cui prendersi cura in nome di Dio, ma semplicemente come “numeri”, forza-lavoro, contribuenti da tassare, soldati da poter mandare a combattere.
È un atto di superbia perché, in quel momento, Davide crede di possedere (come se fossero degli oggetti) le persone che Dio gli aveva affidato da pascere come Sue pecore.
È la tentazione umana di voler “cosificare” e possedere ogni cosa, anche le persone: proviamo ad analizzare il nostro modo di parlare, e noteremo facilmente che – come i bambini piccoli – abbiamo spesso in bocca l’aggettivo “mio”, e parliamo anche delle persone a cui siamo legati come qualcosa che ci appartiene.
[Quanti parroci del passato (e qualcuno anche al presente) avevano la “fissa” di contare i loro fedeli per valutare il buon funzionamento della loro parrocchia!]
Persone che “contano”
Anche il valore della nostra vita è spesso ridotto a una sorta di quantificazione, di conteggio, tanto che il verbo “contare” non significa più solo fare un’operazione algebrica di sommatoria, ma anche “valere” nel senso di «avere importanza»: ognuno di noi vuol “contare”, essere “una persona che conta”.
Solo che per “contare” non bisogna avere delle virtù o dei valori morali, ma possedere soldi e cose, esercitare il proprio potere sulle persone, di cui si dispone a proprio piacimento.
Una questione da chiarire
Anche oggi vi consiglio di leggere il testo per intero (e non la forma tagliuzzata proposta dal Lezionario), ma vi devo prima dare un aiuto alla lettura perché, al primo versetto del capitolo 24, troviamo un’introduzione che ci mette in crisi:
L’ira del Signore si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: «Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda» (cfr 2Sam 24,1).
È Dio che spinge Davide a peccare, per punire il Suo popolo?!
L’intento dell’autore (secondo la mentalità religiosa dell’antico Israele, che riferiva tutto a Dio come “causa prima”) è quello di ribadire che tutta la storia è nelle mani di Dio, che conosce e guida i sentimenti e le scelte degli uomini secondo i Suoi misteriosi disegni di salvezza.
La cosa è difficile da capire, e non solo per noi: anche l’autore del Primo Libro delle Cronache (che riporta lo stesso episodio), ha preferito sostituire il soggetto con Satana (cfr 1Cr 21,1).
Nella vita si può cambiare
L’altra parte mancante è l’avvertimento di Ioab (non ascoltato da Davide):
Ioab rispose al re: «Il Signore, tuo Dio, aumenti il popolo cento volte più di quello che è, e gli occhi del re, mio signore, possano vederlo! Ma perché il re, mio signore, vuole questa cosa?» (cfr 2Sam 24,3-4).
Addirittura, nella versione del Primo Libro delle Cronache, Ioab segnala a Davide che sta commettendo un grave errore, attirando sul popolo una sventura:
«Perché il mio signore vuole questa inchiesta? Perché dovrebbe cadere tale colpa su Israele?» (cfr 1Cr 21,3)
È strano vedere le parti ribaltate: se nel brano di ieri Ioab aveva disobbedito a Davide, uccidendo suo figlio Assalonne senza pietà,1 qui invece sembra essere molto più dotato di fede e di pietà rispetto al suo re.
È il mistero di come lo Spirito di Dio parla nel cuore di chi lo ascolta, e noi non dobbiamo mai fare l’errore di “catalogare” come buono o cattivo, saggio o stolto un uomo in base a una sola delle sue azioni, perché nella vita si può cambiare, e passare facilmente dal male al bene, e viceversa.
Pentimento e affidamento
Nonostante il suo peccato di superbia, Davide ha qualcosa da insegnarci anche in questa pagina: anzitutto la capacità di rendersi conto immediatamente del suo peccato e di chiederne perdono a Dio:
«Ho peccato molto per quanto ho fatto; ti prego, Signore, togli la colpa del tuo servo, poiché io ho commesso una grande stoltezza».
In secondo luogo, la capacità di affidarsi totalmente e fiduciosamente alla volontà di Dio, anche nel momento della prova e del dolore:
Sono in grande angustia! Ebbene, cadiamo nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma che io non cada nelle mani degli uomini!».
«È colpa mia»
Ma, soprattutto, Davide ci insegna il sentimento di pietà (già riscontrato ieri nel «Fossi morto io invece di te, figlio mio!») che lo porta al desiderio sincero di voler pagare personalmente per il proprio peccato e anche per quello degli altri:
«Io ho peccato, io ho agito male; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!».
Tra l’altro, la traduzione greca dei LXX ha conservato una versione ancora migliore, che rende più coerente tutto il versetto (facendoci sentire la consapevolezza di Davide che torna in sé e ricorda di non essere il padrone delle pecore, ma solo il pastore incaricato da Dio):
«Sono io il pastore che ha commesso il male; ma queste pecore che hanno fatto?»
Se volgiamo “contare”…
Perciò, se proprio vogliamo “contare” nella vita, impariamo i sentimenti veri, che guardano alle persone non come cose o oggetti da possedere, ma come fratelli che Dio ci ha affidato perché ce ne prendiamo cura amorevolmente.
- Cfr 2Sam 18,5.10-17. ↩︎