Ero cieco e ora ci vedo. 4ª Domenica di Quaresima (A)

Il cieco nato

Se crediamo di vederci e saper tutto non cresceremo mai nella fede. Come al cieco nato, Gesù deve ricreare i nostri occhi per contemplarLo come Luce del mondo.

Letture: 1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Sal 22 (23); Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

Il cammino di Quaresima ci ha già fatto percorrere tre passi alla riscoperta del nostro Battesimo.

  1. Il primo nel deserto, dove Gesù non ci ha abbandonati alla tentazione, ma l’ha affrontata con noi e per noi.
  2. Il secondo sul Tabor, dove abbiamo “sbirciato” la Gloria di Dio che ci attende e abbiamo preso sul serio l’impegno di ascoltare e seguire Gesù.
  3. Il terzo presso il pozzo di Giacobbe, dove abbiamo sperimentato la sete: quella di Dio di incontrare l’uomo e quella dell’uomo di conoscere davvero Dio.

Il quarto passo lo facciamo oggi, immedesimandoci nell’affascinante avventura del cieco nato che incontra Gesù: è una stupenda catechesi battesimale.

Tutti noi siamo nati “ciechi”, e col Battesimo siamo stati “lavati”, ri-creati e “illuminati”.

Era tutto già scritto e previsto

Potremmo dire che questa pagina è la versione “narrativa” di ciò che Giovanni ci aveva annunciato fin dal Prologo del suo Vangelo:

Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo…
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome… (cfr Gv 1,9-13).

E anche l’atteggiamento ostile dei farisei verso il cieco e verso Gesù era già stato anticipato, nel dialogo notturno con Nicodemo:

 «la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (cfr Gv 3,1-21).

I capi religiosi del tempo – pur di non abbandonare le proprie convinzioni – rifiutano la Luce e scacciano con violenza chi è disposto ad accoglierla.

Il contesto

La guarigione di questo cieco avviene in un contesto ben preciso della narrazione dell’evangelista Giovanni, descritto nei due capitoli precedenti (cfr Gv 7-8): la Festa delle Capanne.

Questa (oltre alle tende, che ricordavano il lungo esodo vissuto da nomadi nel deserto verso la Terra Promessa) era caratterizzata da due riti principali: il rito dell’acqua e il rito della luce.

I sacerdoti scendevano alla piscina di Siloe con recipienti a prendere acqua e – risalendo – la gettavano dappertutto come segno di abbondanza (l’acqua era preziosa come l’oro a quel tempo, in una regione siccitosa).

La sera poi si accendevano moltissimi bracieri sulla spianata del Tempio e questi illuminavano la notte.

Ecco allora che si riempiono di significato le due esclamazioni di Gesù, fatte in questo contesto:

Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Gv 7,37-39).

Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).

Inoltre si riempie di significato (e allo stesso tempo illumina il racconto della guarigione del cieco) l’affermazione di Gesù proprio all’inizio del brano odierno:

«Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,4-5).

Camminiamo anche noi

Ma mettiamoci ora nei panni del cieco, e facciamo anche noi questo cammino di rinascita in Cristo che ci “ri-crea” come uomini nuovi.

È un cammino a tappe, dove la conoscenza di Cristo aumenta gradualmente, man mano che si aprono gli occhi del cuore.

Lo capiamo dalle parole usate di volta in volta dal cieco guarito per definire Gesù.

Pian piano, la parte malata che Gesù ha guarito in lui, spalmandogli gli occhi (letteralmente “ungendogli gli occhi” – l’unzione è un segno sacramentale), lo aiuta a scoprire chi è veramente Gesù.

L’uomo Gesù

«L’uomo che si chiama Gesù» dice il cieco, la prima volta che gli chiedono cosa gli sia successo.

Parte da qui la sua conoscenza del Signore, dal “sentito dire”.

Ma è un “sentito dire” già carico di promesse e attese: il nome Gesù – infatti- significa “Dio salva”.

E – non a caso – lui si è fidato di quest’uomo con un nome così promettente, e ha fatto esattamente ciò che gli aveva comandato.

Il profeta Gesù

«È un profeta!» dirà poco dopo, in risposta alla prima domanda dei farisei («Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?»).

“Profeta” è colui che parla e agisce in nome di Dio. Qui il cieco riconosce nel gesto di Gesù su di lui la mano stessa di Dio.

Infatti è un gesto di creazione quello compiuto da Gesù: come Dio in principio, prende della polvere dal suolo, la mischia con la sua saliva (che nell’antichità era simbolo della forza vitale della persona, ma anche della parola) e con quel fango plasma una nuova vita.

Gesù porta a compimento, in quest’uomo cieco, l’opera di creazione dell’uomo iniziata da Dio Padre (proprio tra il sesto e il settimo giorno, quello di sabato: cfr Gen 2,1s).

Il Maestro Gesù

«Perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?»

La replica spazientita del cieco ai farisei che lo tartassano potrebbe suonare solamente ironica e provocatoria, quasi di sfida.

In realtà quell’«anche voi» ci fa leggere tra le righe l’affermazione: «Io sono già suo discepolo».

Ecco il passo ulteriore: mettersi in ascolto, aver voglia di discere, cioè di “imparare” dal Maestro.

Gesù ora non è più solo “un uomo” o “un profeta”, ma è “il Maestro”.

Il Messia Gesù

«Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla».

Alla conclusione del suo ragionamento, il cieco guarito ora riconosce in Gesù “l’inviato da Dio”, “il Messia”.

È strabiliante come la Parola di Dio sia più chiara e viva nel cuore di quest’uomo rispetto a quello degli “specialisti” stessi della Scrittura.

Lui – in quanto cieco – non l’aveva mai studiata (e non potendo leggere la Torah era ritenuto maledetto da Dio).

Quelli – pur avendo passato un vita intera a leggerla e studiarla – erano accecati dalla presunzione di saper “inscatolare” tutto dentro una legge che imprigiona l’uomo invece di salvarlo!

Tornano alla mente quei dottori della legge interrogati da Erode su dove sarebbe nato il Cristo, che sanno – sì – fare l’esegesi della Scrittura, ma non il passo successivo e fondamentale dell’attualizzarla nella propria vita, e quindi rimangono fermi dove sono invece di andare a Betlemme come i Magi (cfr Mt 2,4-6).

Gesù è Signore

«Credo, Signore!» esclama alla fine il cieco guarito, davanti a Gesù che gli si manifesta come «il Figlio dell’uomo».

È una fede sincera, che – come un seme pronto a germogliare – era già presente nel cuore di questo cieco fin dall’inizio.

Per questo solo lui sa leggere il segno (così Giovanni chiama i miracoli) inconfutabile di Gesù come Messia: l’aprire gli occhi dei ciechi (il libro di Isaia è pieno di riferimenti a questo gesto come uno dei segni indiscutibili che solo il Messia compirà. Basti rileggere ad esempio Is 42,6-7).

Gesù è Dio

«E si prostrò dinanzi a lui». È il gesto dell’adorazione (come quello dei Magi) che si può tributare solo a Dio.

Compiendo questo gesto, il cieco riconosce in Gesù Dio stesso.

Il verbo usato da Giovanni è lo stesso di 4,23 dove Gesù spiegava alla Samaritana che «i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità».

Alcune riflessioni a margine

Giunti alla fine di questo bellissimo cammino di fede che abbiamo fatto assieme al cieco nato, aggiungo solo alcune osservazioni ulteriori, che sono comunque importanti (il brano è così ricco che richiederebbe un’enciclopedia).

«Siamo ciechi anche noi?»

“Vedere” nel vangelo Giovanni è sinonimo di credere: il cieco nato “vedeva” molto bene già prima di riacquistare la vista degli occhi, perché – nella sua povertà totale – era aperto e disposto a cercare la Verità.

I farisei invece rimangono ciechi perché sono convinti di vederci bene, di sapere già tutto, di non aver bisogno di fare ulteriori passi nel loro cammino di fede.

Sono pesantemente ancorati alle tradizioni: fanno del loro essere discepoli di Mosè un inutile vanto che li imprigiona.

Non riescono a vedere quanto sia infinitamente più grande l’opera di Dio rispetto alla fredda osservanza delle leggi…

Il misterioso modo di agire di Dio

Questa pagina ci fa riflettere sulla libertà dell’agire di Dio, che per noi rimane sempre un mistero.

I discepoli avevano posto a Gesù la domanda «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?»

È l’eterna domanda sul senso del male, della sofferenza e del dolore nel mondo. Ma bisogna stare attenti, perché alla fine – non trovando altre spiegazioni – si finisce per dare la colpa a Dio stesso!

Dio non segue le nostre regole di causa-effetto, colpevole-innocente.

La vicenda di questo cieco ci dice che ciò che noi non sappiamo spiegare nella nostra vita, spesso «è perché siano manifestate le opere di Dio».

Dio sa scrivere dritto anche sulle righe storte della nostra storia. Sa trarre il bene anche dal male. Sa rendere luce ciò che in noi è tenebra.

Ogni storia è una storia di salvezza, anche la più tragica e triste, ma solo per chi è disposto a intravedere in filigrana la presenza misteriosa di Dio nella storia.

Chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità

C’è un altro tema interessante nella vicenda di questo cieco nato: la figura dei genitori.

Nei genitori di questo cieco mi sembra di rivedere i genitori di tanti ragazzi di oggi.

Nella risposta «chiedetelo a lui, ha l’età, parlerà lui di sé» sembra un po’ di sentire la solita frase: «Quando sarà grande deciderà lui cosa fare, non voglio essere io ad imporgli una scelta di fede».

È molto avvilente…

Ma allo stesso tempo questa pagina mi consola, perché Dio mi fa vedere che Lui sa condurre a sé i suoi figli anche senza l’aiuto di coloro che dovrebbero essere i principali incaricati dell’accompagnamento nella fede.


Preghiamo che questa Quaresima e il nostro itinerario cristiano sia il rimetterci nel cammino della fede, un cammino che purifica man mano i nostri occhi per riconoscere l’opera mirabile di Dio nella nostra vita, un’opera che continuamente si rinnova grazie ai Sacramenti della vita cristiana e alle continue occasioni di Grazia che il Signore attua per noi ogni giorno.