Siamo fragili, ma non soli. 1ª Domenica di Quaresima (A)

siamo fragili, ma non soli

L’esperienza delle nostre fragilità ci fa sentire soli e abbandonati a noi stessi, ma Dio non ci abbandona alla tentazione. Egli la affronta con noi.

Letture: Gen 2,7-9; 3,1-7; Sal 50 (51); Rm 5,12-19; Mt 4,1-11

Il primo versetto della Scrittura che ascoltiamo in questa domenica ci riporta immediatamente alla celebrazione delle Sante Ceneri che apre la Quaresima:

Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo.

Riconoscere la propria fragilità

C’è poco da fare, che lo vogliamo ammettere o no, siamo polvere, siamo fragili.

In questi giorni così concitati per la paura del Coronavirus, l’uomo moderno – spesso malato di delirio di onnipotenza – si sta parecchio ridimensionando, e torna a prendere sul serio la questione della propria fragilità.

…senza cadere nel catastrofismo

Ma dobbiamo stare attenti a non cadere nell’esagerazione inversa: quella del catastrofismo e del pessimismo, che dipinge l’umanità come una massa informe destinata all’estinzione o – peggio – nelle mani di un Dio arrabbiato che avrebbe deciso di farcele pagare tutte assieme.

Siamo polvere, sì, siamo fragili… ma dentro di noi abita la vita stessa di Dio:

…soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.

Da quel soffio vitale non siamo più semplicemente polvere: siamo abitati dal respiro, dallo Spirito di Dio.

Non solo, Dio ci ha creati per renderci destinatari di ogni bene:

il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare.

Da dove viene il male?

Ma allora da dove vengono il male, la malattia, il dolore, la morte, di cui facciamo continuamente esperienza?

La pagina della Genesi che ci racconta il Peccato Originale non è una storiella di quelle che si narrano ai bambini, ma un’altissima sintesi teologica che serve a spiegarci dove si origina tutto il male del mondo.

Il male, il peccato, nasce dalla nostra sfiducia in Dio, che ce Lo fa vedere non come amico e alleato, ma come un avversario, come un padrone inaffidabile, che ci imbroglia, essendo geloso delle sue cose.

La nostra ragione iper-critica è continuamente tentata di mettere in dubbio ogni cosa. Il nostro motto è: «fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio».

La sfiducia ci rende sempre più soli

Però il non fidarsi di nessuno, il voler essere principio autonomo di decisione su cosa sia bene e cosa sia male, isola irrimediabilmente l’uomo, e lo relega nella solitudine.

In questo stato di abbandono, egli scopre tutta d’un colpo la propria nudità, la propria fragilità.

Solo che – avendo rifiutato Dio – non ne fa esperienza sotto lo sguardo amorevole e misericordioso del Padre, ma solamente sotto quello severo e spietato della propria coscienza, incapace di trovare vie di salvezza.

Dio non ci abbandona a noi stessi

La seconda lettura e il vangelo di oggi però ci rassicurano; potremmo dire che sono la risposta all’invocazione finale del Padre Nostro: «non abbandonarci alla tentazione».

Dio non ci ha lasciati in balia di noi stessi e dei nostri peggiori istinti. Egli ha messo nel mondo un nuovo Adamo che non ci abbandona nella prova ma la affronta con noi e per noi.

Così, se il primo Adamo ha ceduto alla tentazione, il secondo e definitivo Adamo si è fidato totalmente di Dio, della Sua Parola, della Sua affidabilità.

Dilaga il peccato, ma ancor di più la Grazia

Il potere diffusivo del male, del peccato, è paragonabile a quello del contagio da Coronavirus che ci spaventa tanto: un ammalato può contagiare anche decine di altri uomini sani. Ed è una corsa contro il tempo cercare di fermarne la diffusione.

Un solo mozzicone di sigaretta gettato per terra può causare un incendio devastante, e poi ci vogliono giorni e giorni prima di riuscire a domare le fiamme, e – una volta spento l’incendio – il bosco è irrimediabilmente perduto.

Ma per quanto possa essere devastante l’opera di contagio del male, ancor più efficace e totalmente riparatrice è l’opera della redenzione operata da Cristo.

Ascoltiamo san Paolo:

Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

La grazia di Dio acquistataci dal sacrificio di Cristo è capace non solo si spegnere gli incendi, ma di far rifiorire il deserto (cfr Is 35,1-2).

Coraggio, allora: in questo deserto di prova e tentazione Dio non ci lascia soli in balia delle nostre fragilità.

Buon cammino di Quaresima!